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Piemonte. La Regione ferma il riordino della residenzialità psichiatrica

L’annuncio dell’assessore Icardi che spiega: “Vogliamo rivedere la norma. Non si tratta di rimettere tutto in discussione, ma certamente occorrerà impedire che i costi dell’assistenza possano ricadere sulle famiglie”. Al via nuovi tavolo di confronto.

27 SET - “Posticipiamo l’entrata in vigore del provvedimento di riordino della residenzialità psichiatrica per avere il tempo di rivederlo alla luce delle criticità segnalate da famiglie, Comuni e operatori del settore. Non si tratta di rimettere tutto in discussione, ma certamente occorrerà impedire che i costi dell’assistenza possano ricadere sulle famiglie, così come sarà necessario fare chiarezza su aspetti molto delicati, come la scelta del luogo di cura, gli effetti della riconversione delle case di cura neuropsichiatriche e l’accesso alle strutture psichiatriche territoriali”. Lo ha annunciato questa mattina l’assessore regionale alla Sanità del Piemonte, Luigi Genesio Icardi, in apertura del Tavolo regionale di applicazione e monitoraggio della DGR 29/2016 sulla residenzialità psichiatrica.
 
L'intervento di Icardi arriva alla vigilia della conclusione dei tre anni di tempo previsti per l'attuazione del riordino del sistema. Negli scorsi mesi anche il Consiglio Regionale, con un Odg (1626) evidenziava la necessità di  "prevedere un'ulteriore fase transitoria della DGR 29 al 31 dicembre del 2019  al fine di garantire la soluzione delle problematiche citate" e, in particolare, ai ritardi sulle procedure per l'autorizzazione e accreditamento, nonché a quelle relative alla compartecipazione alla spesa del paziente, al reperimento del personale previsto tra i requisiti della nuova delibera e al destino di quei lavoratori non più idonei a lavorare presso quelle strutture. Ma sopratutto ai timori in merito alla qualità dell'assistenza garantita ai pazienti.

“Vogliamo  aprire un nuovo dialogo tra la Regione e tutti i soggetti interessati, possibilmente lontano dalle aule dei Tribunali, dove sarebbe più difficile trovare delle soluzioni ragionate e idonee”, è l'obiettivo di Icardi, che con le sue parole ha fatto riferimento ai diversi ricorsi presentati contro la riforma della ex Giunta regionale dalle famiglie e dalle associazioni dei pazienti. Famiglie e assocazioni infatti, ma anche molti operatori del settore, contestano come la riforma, spostando parte dell’assistenza dalla sanità al welfare, penalizzerebbe la qualità dell'assistenza. Lo conferma a nostro giornale Giorgio D’Allio, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl To5 e in prima linea per la modifica della riforma, che chiarisce: “Nessuno mette in dubbio la necessità di fare ordine nel mondo delle residenze psichiatriche, ma non a discapito dei pazienti e delle famiglie”, dice D'Allio.

La questione gira intorno alla nuova classificazione delle strutture previse dalla riforma in base ai livelli di intensità terapeutica. Attraverso il nuovo sistema i gruppi appartamento (nella delibera le Srp3) sarebbero stati declassati dal comparto sanitario, appunto, a quello socio-assistenziale in quanto chiamate ad accogliere pazienti “clinicamente stabilizzati” con bisogni nell’area di supporto piuttosto che in quella terapeutica specifica della patologia. Per D’Allio, tuttavia, le condizioni cliniche dei pazienti di queste strutture non sono così buone da poter prescindere da una assistenza sanitaria. Né le loro famiglie (“parliamo nella maggior parte dei casi di famiglie che vivono una situazione di disagio complessivo e di poverità”) sono nelle condizioni di farsi carico dei costi derivanti da questo passaggio: “L’ingresso dei gruppi appartamento tra i servizi socio-assistenziali scaricherebbe sulle spalle di pazienti e familiari il 60% dei costi del ricovero, che vanno dai 90 ai 105 euro al giorno. Costi che, in mancanza della possibilità di pagare delle famiglie, sarebbero ricaduti sui consorzi o sui Comuni”.. In definitiva, in mancanza di fondi e di disponibilità da parte delle famiglie, l'unico modo per non far pesare questi costi sulle famiglie i medici avrebbero dovuto dimettere i pazienti. Con tutti i rischi e i problemi che questo avrebbe comportato, essendo pazienti non idonei alla dimissione.
 
“Il paradosso - osserva allora D'Allio - è che invece di portare risparmi, la riforma avverrebbe incrementato la spesa, perché nessun clinico dimetterebbe i pazienti per motivi economici. Anzi, considerate le loro condizioni e l'assistenza prevista, con molta probabilità la maggior parte dei pazienti verrebbe certificata a un livello di gravità maggiore così da rientrare nell'assistenza prevista dalle altre strutture classificate come sanitarie. Di conseguenza, i costi a carico della Regione sarebbero aumentati". Secondo le stime presentate da D'Allio, nell'Asl To5 l'incremento dei costi sarebbe stato di circa 480mila euro all'anno.
 
Nei prossimi mesi si lavorerà, dunque, a una revisione di una riforma che, ribadisce D'Allio, “non avrebbe garantito la salute né risparmi economici".

27 settembre 2019
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