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Lazio. In Consiglio arriva la proposta per attivare il servizio dell’infermiere di famiglia. Ma tra commissariamento e rapporti con i Mmg la strada è tutta in salita

di L.F.

In commissione sanità è approdata una pdl che propone l’attivazione di servizi sperimentali di infermieristica di famiglia. Ma i dubbi sono tanti, a partire dai paletti che impone il commissariamento della sanità e dai rapporti con i medici di famiglia che sono scettici. LA PROPOSTA DI LEGGE

25 FEB - È sbarcata da poche settimane in Commissione sanità della Regione Lazio una proposta di legge che mira a “promuovere il servizio dell’infermiere di famiglia quale soggetto che, in sinergia con i medici di medicina generale e con i servizi distrettuali, assicuri la presa in carico del cittadino anche attraverso l’assistenza domiciliare”. Il provvedimento è proposto da Enrico Forte (Pd) e Paolo Ciani (Centro solidale) e prevede “l’attivazione a livello distrettuale dei progetti innovativi e sperimentali di assistenza in cui l’infermiere garantisce al paziente lo sviluppo di un piano di cure personalizzato, mediante interventi domiciliari caratterizzati da competenze ad alta componente tecnico-scientifica, facilitando e favorendo il coordinamento e l’utilizzo appropriato dei diversi servizi”.
 
Ma il percorso del testo non sembra facile. Primo tra tutti c’è la spada di Damocle del commissariamento della sanità laziale che pone dei paletti, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di stanziare risorse (nella pdl in effetti alla voce risorse compaiono dei puntini di sospensione). Ma poi c’è anche il tema di come questo nuovo servizio si possa integrare con i medici di famiglia.
 
Nello specifico secondo la proposta l’infermiere di famiglia dovrebbe:
- analizzare i bisogni della famiglia, per gestire il processo assistenziale, per la presa in carico ‘pro attiva’ dei cittadini in collaborazione e sinergia con il medico di famiglia e garantire sul territorio la continuità assistenziale con particolare riferimento alle cronicità;
- aiutare gli individui e le famiglie ad affrontare la malattia e la disabilità cronica, nei periodi difficili, trascorrere una gran parte del suo tempo nella casa del paziente;
- essere in grado di agire sul territorio e conoscere la mappa dei servizi sanitari e sociali aiutando anche la persona sana ad evitare rischi sanitari;
- facilitare le dimissioni dagli ospedali, fornendo assistenza a domicilio e sostituirsi al medico di base quando i bisogni sono di carattere infermieristico.
 
Sulla proposta è partito intanto un giro di audizioni in commissione sanità. Nella prima audizione sono stati incontrati i vertici degli ordini provinciali degli infermieri (Opi), assenti Frosinone e Viterbo. Sono intervenute Ausilia Pulimeno, presidente dell’Opi di Roma, e Annunziata Piccaro, presidente dell’Opi di Latina, le quali hanno espresso parere favorevole all’iniziativa del Consiglio regionale, suggerendo alcune modifiche al testo. Presente anche la vicepresidente dell’Opi di Rieti, Giovanna Maria Picuti.

Per dimostrare la necessità di questa legge, Ausilia Pulimeno ha citato i dati di una ricerca dell’Osservatorio civico Fnopi-Cittadinanzattiva, dai quali emerge che un cittadino su due reputa insufficiente il numero degli infermieri per garantire l’assistenza non solo in ospedale ma anche sul territorio e che il 78,6 per cento degli intervistati vorrebbe disporre di un infermiere di famiglia e di comunità. “Tale infermiere – ha detto Pulimeno, citando anche casi di successo di altre regioni – svolge il suo ruolo nel contesto comunitario di cui fanno parte la rete dei servizi sanitari e socio-sanitari, le scuole, le associazioni e i vari punti di aggregazione”.

Tra le proposte di modifica al provvedimento oggetto dell’audizione, gli Opi suggeriscono innanzitutto un cambio sostanziale nel titolo, sostituendo “promozione” con “realizzazione di servizi”.
 
Le altre osservazioni fanno riferimento a una serie di documenti che vengono citati nella relazione depositata in commissione al termine dell’audizione, a cominciare dalla definizione di Family Health Nurse (FHN) fornita dalla Organizzazione mondiale della Sanità; dal profilo dell’infermiere di famiglia e di comunità elaborato dall’Associazione Infermieri di Famiglia e di Comunità (AIFeC); dal Piano nazionale della Cronicità (PNC) e dal Piano nazionale di prevenzione 2014-2018 del Ministero della Salute.

Nella seconda audizione, la settima commissione ha incontrato i rappresentanti delle organizzazioni sindacali Nursing Up e Nursind. “Istituire la figura dell’infermiere di quartiere o di condominio può essere una strategia per realizzare la prevenzione sul territorio”, ha detto Emanuele Esposito, delegato di Nursing up per la Provincia di Roma. “Occorre certificare una figura di fatto già esistente”, ha aggiunto Rita Santoro, responsabile regionale della stessa organizzazione, che ha anche proposto di inserire nella legge gli “elenchi degli infermieri presso le Asl”.
 
Per Stefano Barone, segretario provinciale Roma di Nursind, la proposta di legge “è una bella iniziativa ma di difficile attuazione considerato il commissariamento della sanità nel Lazio, i mancati concorsi per infermieri da 10 anni, l’indisponibilità di risorse sia umane che economiche”.
 
“Mi sembra una proposta un po’ fumosa e che frammenta ulteriormente il sistema creando altre figure che non si sa bene cosa devono fare, con quali funzioni ma soprattutto, con quali risorse si pagano? – ha detto a Quotidiano Sanità Pierluigi Bartoletti segretario Fimmg Roma (la Federazione Italiana dei Medici di Famiglia) e Vice Presidente OMCeO Roma - . Qui dobbiamo integrare i servizi che già ci sono. Più che creare altre figure sarebbe il caso di iniziare ad abbattere qualche muro come quello tra l’ospedale e territorio. Oggi in tutto il mondo ci sono equipe integrate che seguono il malato. Più che creare aspettative bisognerebbe sistemare quello che oggi c’è e non funziona”.
 
L.F.

25 febbraio 2019
© Riproduzione riservata

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