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Fragilità e invecchiamento patologico. Pili (Ierfop): “Necessaria una nuova prospettiva biopsicologica per la cura dell’anziano”

di Elisabetta Caredda

Il presidente dell’associazione, Roberto Pili, sottolinea come la fragilità “il più delle volte rimane invisibile nei percorsi di cura, trascurata nella valutazione clinica, sottovalutata nei piani terapeutici. Riconoscerla significa rompere il silenzio attorno a una condizione che anticipa e amplifica ogni debolezza dell'età avanzata, individuarla ed integrarla per tempo nelle strategie di cura vuol dire aumentare l'efficacia degli interventi e contrastarne la progressione”.

15 APR - Leggere la fragilità come chiave clinica ed esistenziale dove nell'epoca della longevità diffusa, l'invecchiamento non può più essere considerato un semplice passaggio anagrafico. Questa ‘lettura’ oggi si impone sempre più come una sfida complessa, un fenomeno multidimensionale che intreccia aspetti biologici, psicologici e sociali. A parlarne a Quotidiano Sanità, Roberto Pili, medico oncologo, Presidente della Comunità Mondiale della Longevità e Ierfop Onlus (Istituto Europeo Ricerca Formazione Orientamento Professionale).

“La fragilità – spiega il Presidente IERFOP - si rivela uno strumento cruciale per leggere e prevenire l’invecchiamento patologico. Non si tratta solo di un segnale clinico, ma di un vero e proprio bio-psico-marcatore, capace di intercettare in anticipo i primi segni di scompenso nel delicato equilibrio mente-corpo dell'anziano. Essa infatti, ossia la fragilità, lunga dall'essere un semplice stato clinico, si configura oggi come un indicatore integrato di debolezza, che riflette la coesistenza di alterazioni biologiche, psichiche e funzionali. È il sintomo precursore di una deriva verso l'invecchiamento patologico, e come tale va intercettata e letta con strumenti nuovi, integrati, dinamici”.

“I tre piani attraverso cui si esprime - prosegue il medico oncologo – sono quello biologico, con la perdita progressiva della massa muscolare (sarcopenia), l’infiammazione cronica legata all'età (inflammaging), e l’alterazione dell'asse HPA e ridotta riserva energetica; quello psicologico, con la depressione latente, l’apatia, la riduzione della motivazione, l’isolamento sociale; e quello funzionale, quando si ha la perdita di autonomia, e la compromissione motoria e cognitiva. Questi tre livelli agiscono in modo sinergico e progressivo, determinando un disallineamento tra età biologica, psicologica e cronologica. Il risultato è un invecchiamento accelerato, silenzioso, ma devastante nella sua traiettoria”.

“La fragilità rappresenta anche ‘l'elefante’ nella stanza del medico clinico e del riabilitatore: nonostante, infatti, sia ormai uno dei principali determinanti clinici nell'invecchiamento, essa resta spesso misconosciuta. Come un ’elefante’ nella stanza, che è presente, evidente, perfino ingombrante… eppure è ignorata. Invisibile il più delle volte nei percorsi di cura, trascurata nella valutazione clinica, sottovalutata nei piani terapeutici. E invece è fondamentale riconoscerla per una cura più efficace, significa rompere il silenzio attorno a una condizione che anticipa e amplifica ogni debolezza dell'età avanzata. Individuarla precocemente e integrarla nelle strategie di cura vuol dire aumentare l'efficacia degli interventi e contrastarne la progressione. Solo riconoscendola come condizione clinica autonoma, la fragilità può trasformarsi da rischio trascurato in opportunità di intervento mirato”.

“E’ significativo anche riattivare risorse personali, spesso dimenticate o date perse, valorizzare le capacità residue che possono essere potenziate con interventi mirati, prevenire la disabilità agendo prima che si manifestino esiti irreversibili, e restituire sostegno, fiducia e motivazione, elementi indispensabili per un invecchiamento attivo. Riconoscere e valutare precocemente la fragilità significa prevenire una serie di esiti clinici avversi che includono malattie croniche ingravescenti, le cadute ricorrenti e instabilità posturale, il deterioramento cognitivo e disabilità sociale, le ospedalizzazioni ripetute, la mortalità precoce”.

“Alla base di un approccio efficace alla fragilità vi è una visione biopsicologica, in cui corpo e mente non sono più entità separate ma dimensioni interdipendenti. L'anziano fragile non sperimenta solo la perdita di forze, ma la contrazione della propria identità: si sente inefficace, invisibile, inutile. In questo scenario, il sintomo psicosomatico per eccellenza è la fatica. Ma non si tratta di una semplice stanchezza fisica, è una fatica esistenziale, una rinuncia lenta al senso, che scivola in una rinuncia al movimento, alla relazione, alla vita stessa”.

“E’ fondamentale orientarsi dunque verso un modello integrato e personalizzato di intervento. La possibilità, infatti, di utilizzare la fragilità come bio-psico-marker apre la strada a modelli di presa in carico integrati e personalizzati, capaci di trasformare la diagnosi in prevenzione e la cura in accompagnamento. Tra gli interventi prioritari ricordo la psicoterapia del ciclo di vita, per ricostruire il senso e rielaborare i cambiamenti dell'età; la stimolazione cognitiva ed emotiva, per rallentare il decadimento e riattivare le funzioni mentali; l’empowerment dell'autoefficacia, per promuovere la resilienza e l'autodeterminazione; il supporto psicologico ai caregiver, spesso coinvolti in una co-fragilità familiare”.

“Riconoscere la fragilità quindi come indicatore precoce dell'invecchiamento patologico non è solo una questione clinica, ma un passaggio culturale. Significa uscire dalla logica della malattia per entrare in quella della prevenzione umana. Significa concepire la medicina dell'anziano non come un insieme di protocolli, ma come un dialogo tra la complessità della persona e la complessità della cura. È una sfida che coinvolge la sanità, le famiglie, i territori. Ma è anche, e soprattutto, una sfida etica e culturale: quella di accompagnare ogni persona verso una vecchiaia dignitosa, significativa, integrata. E farlo con gli strumenti della scienza, ma anche con quelli della relazione, del senso e della speranza – conclude Pili.

Elisabetta Caredda

15 aprile 2025
© Riproduzione riservata

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