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Non solo epatite C. La minaccia che viene dal "grasso"


24 OTT - Non solo epatite C. La salute del fegato è minacciata anche dal grasso, quello che si annida a livello della pancia e che si va a depositare proprio all’interno di questo organo vitale. Una nuova sfida per la salute del fegato, legata all’incremento dell’obesità, che si somma a quella non ancora del tutto risolta rappresentata dall’epatite C. Il cosiddetto “fegato grasso”, infatti, è la porta d’ingresso per lo sviluppo della steatoepatite non alcolica (NASH), malattia grave che può danneggiare irrimediabilmente il fegato (vedi scheda).
 
Delle nuove sfide e di come affrontarle hanno parlato medici, associazioni pazienti e istituzioni riuniti al convegno di Quotidiano SanitàDopo l’HCV, le nuove emergenze per la salute del fegato”, promosso da Gilead Sciences, che si è svolto oggi a Roma. Perché per agire in maniera efficace contro le malattie epatiche è necessario l’impegno congiunto di tutti e la capacità di garantire l'accesso alle cure anche alle popolazioni che ne sono ancora escluse.
 
NASH, la nuova sfida
In Italia più di un terzo della popolazione adulta (35,3%) è in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (9,8%). Risultato: complessivamente, il 45,1% dei soggetti sopra i 18 anni pesa troppo. A questo fenomeno si lega l'aumento della steatosi epatica (NAFLD), l'accumulo di grasso nel fegato o “fegato grasso”, che viene calcolato colpisca il 25-30% della popolazione.
 
“Data la crescente percentuale di persone obese in Italia, tra cui anche bambini, anche la prevalenza della NAFLD sta crescendo e, dal punto di vista delle patologie del fegato, rappresenta ora e soprattutto in futuro una nuova sfida da vincere”, ha affermato Salvatore Petta, segretario dell'Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF). L'accumulo di grasso, infatti, può progredire provocando l'infiammazione del fegato, la steatoepatite non alcolica (NASH), detta così perché non associata al consumo di alcol. Una condizione che colpisce il 2-3% della popolazione e che a sua volta porta allo sviluppo di fibrosi, cirrosi e infine epatocarcinoma.
 
Per vincere questa sfida il primo obiettivo è quello di una diagnosi tempestiva. “Si tratta di una condizione completamente asintomatica, almeno finché la situazione non è molto compromessa. Ecco perché chi ha il diabete e/o presenta obesità dovrebbe essere sottoposto a screening”, ha sottolineato Petta. Per valutare lo stato di salute del fegato oggi si usano test non invasivi ampiamente validati e molto semplici da effettuare, perché combinano variabili come l'indice di massa corporea e valori del sangue, come le transaminasi e le piastrine. Per avere però la certezza che si tratti di NASH si ricorre ancora a un metodo invasivo, la biopsia; ma studi recenti hanno dimostrato che grazie all'intelligenza artificiale i risultati dei test non invasivi possono in modo discretamente accurato identificare i soggetti più a rischio di evoluzione della malattia.
 
La buona notizia è che sia la steatosi sia la steatoepatite possono regredire: è stato osservato che un dimagrimento di almeno il 7% del peso corporeo è sufficiente per innescare la regressione. “Modificare lo stile di vita è oggi l'unica strategia terapeutica di cui disponiamo. Per quanto riguarda i farmaci, infatti, ci sono molte molecole in fase di sperimentazione che mirano a modificare i meccanismi di accumulo del grasso, dell'insulino-resistenza, dell'infiammazione e della fibrosi, ma servirà ancora del tempo prima che siano disponibili”, ha concluso Petta.

24 ottobre 2018
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