Fabbrocini (Uni. Napoli): “Innovazione terapeutica fondamentale per curare la psoriasi lieve-moderata”
04 APR - “La psoriasi occupa una buona fetta dell’attività giornaliera del dermatologo. Patologia infiammatoria della cute molto comune, arriva a colpire il 3% della popolazione generale, circa 1,8 milioni di persone solo in Italia”. Queste le parole di
Gabriella Fabbrocini, Direttore di Dermatologia e Venereologia, Università degli Studi Federico II di Napoli, intervenuta oggi a Roma nel corso della presentazione dei risultati di un’indagine sui dermatologi, realizzata da Doxapharma con il sostegno di LEO Pharma, atta a indagare l’impatto che l’innovazione terapeutica ha sulla vita del paziente con psoriasi.
“Il fatto che il dermatologo si trovi spesso di fronte pazienti con psoriasi, non è solo legato alla frequenza della patologia - ha proseguito - ma anche alla sua complessità”. Complessità, però, non vuol dire necessariamente avere una forma grave di psoriasi. “Anche il paziente con una forma lieve-moderata di malattia è un paziente complesso e per varie ragioni: le cure che ha a disposizione non hanno effetti immediati e visibili e quindi il paziente si scoraggia e questo implica stress psicologico. Non dobbiamo mai dimenticarci che viviamo nella società dell’immagine e la pelle è il nostro biglietto da visita”, ha precisato Fabbrocini.
“Per quanto riguarda la mia esperienza, presso la nostra clinica è attivo ogni giorno un ambulatorio dedicato alla psoriasi che conta circa 3.000 nuovi accessi all’anno”. Tra le criticità per la gestione del paziente con psoriasi lieve-moderata “c’è indubbiamente la scarsa aderenza alle terapie, soprattutto a quelle topiche, rappresenta un grande limite per la possibilità di raggiungere i migliori outcome terapeutici e quindi un migliore controllo della patologia. Per tale motivo - ha spiegato la dermatologa - è fondamentale ascoltare il paziente sin dall’inizio, conoscere le sue abitudini lavorative e ricreative, cercando di prestare attenzione non solo alle lesioni cutanee, ma anche al vissuto emotivo del paziente e ai suoi bisogni insoddisfatti. Grande importanza deve essere fornita inoltre all’educazione dello stesso, in maniera tale che prenda coscienza della sua patologia e delle sue caratteristiche di cronicità”.
Da questo punto di vista, anche Dr. Google gioca un ruolo fondamentale ed il clinico deve saper sfruttare le informazioni che circolano su Internet a proprio vantaggio. “Il dermatologo deve essere cosciente e consapevole delle eventuali fake news che il paziente può riportare in sede di visita e deve essere in grado di usarle a proprio vantaggio e saper controbattere per aumentare il rapporto di fiducia con il paziente stesso”, ha aggiunto Fabbrocini. Una buona comunicazione tra medico e paziente è quindi indispensabile per creare una buona base di fiducia: “Una corretta educazione del paziente e una corretta informazione possono limitare la scarsa aderenza terapeutica che è sicuramente una problematica di tutte le malattie croniche cutanee, ma soprattutto della psoriasi rispetto alle altre”.
Negli ultimi anni, lo scenario terapeutico è notevolmente migliorato aprendo nuovi scenari per il trattamento della psoriasi lieve-moderata. Fra tutte le terapie oggi a disposizione “spicca fra tutte un’associazione di corticosteroide topico + derivato della vitamina D in forma di schiuma che riesce a unire, allo stesso tempo, potenza e rapidità di azione sulle lesioni della psoriasi associate ad una formulazione comoda da usare e cosmeticamente accettabile per il paziente”, ha precisato l’esperta.
“La nuova formulazione migliora l’aderenza alla terapia e risulta essere più efficace non solo per la combinazione dei due principi attivi, ma anche per le modalità di applicazione rispetto ai trattamenti topici già esistenti come pomate e unguenti. Le due molecole funzionano da sempre e negli ultimi anni venivano formulate in gel mentre attualmente sono formulate in una schiuma. Questo consente - ha spiegato Fabbrocini - con una sola noce di prodotto, di coprire un’estensione cutanea maggiore, di poter non essere unti subito dopo e quindi di potersi vestire subito dopo l’applicazione. Nello stesso tempo, poi, la formulazione assicura un’alta penetrazione delle molecole attive che vanno ad agire sul target patogenetico. Inoltre, la schiuma garantisce, dopo anche 20 giorni, risultati significativi con un miglioramento dell’80%. Chiaramente, dunque, tutti questi fattori positivi si ripercuotono in una maggiore soddisfazione del paziente e di conseguenza in una maggiore aderenza alla terapia”, ha concluso l’esperta.
Marzia Caposio
04 aprile 2019
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