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Salmaso (Iss): “Chi si vaccina protegge anche gli altri”


21 APR - Il punto di una settimana dedicata alle iniziative internazionali sull’immunizzazione è quello di capire cosa si sia fatto fino ad oggi e di cosa si possa ancora fare, nell’ambito della prevenzione. Secondo Stefania Salmaso, direttrice del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell’Iss, da noi contattata in occasione della ricorrenza in Italia abbiamo già raggiunto tanti obiettivi, ma si può ancora migliorare. “L’impegno nelle vaccinazioni è un obiettivo che abbiamo a cuore sempre, non solo nella European Immunization Week lanciata da Oms ed European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc). Chiaramente però quest’iniziativa è importante soprattutto per pianificare e diffondere attività, e dimostrare che l’argomento è condiviso, in maniera orizzontale, da tutti gli stati”, ci ha detto Salmaso.
 
Grazie ai vaccini contro molte malattie si è fatto già tanto raggiungendo importanti risultati. Qual è la situazione in Italia?
Abbiamo raggiunto importanti traguardi: il sistema di vaccinazione è il fiore all’occhiello del nostro sistema sanitario, grazie alla rete capillare di diritto alla salute che è stata costruita nel tempo.
A prescindere dal reddito e dalla città di provenienza, tutti possono usufruire del sistema di vaccinazioni e questo è un dato importantissimo. Dall’influenza alla difterite, passando per il morbillo, nuovo grande obiettivo dell’immunizzazione in Italia, il nostro sistema ha fatto grandi passi in avanti: basti pensare alla poliomielite, un tempo diffusissima e oggi del tutto eradicata in Italia e quasi debellata nel mondo.
Risultati che non sono dovuti solo ad una migliore qualità della vita, ma che dipendono direttamente dalle campagne vaccinali. La prova di questo è che in regioni altrettanto ricche rispetto alla nostra, in cui però sono presenti comunità religiose che rifiutano l’immunizzazione, malattie come la poliomielite sono state più difficili da cancellare.
 
La situazione però non è sempre rosea e in alcuni ambiti si fa ancora fatica a raggiungere i risultati sperati. Come si spiega?
Quando l’immunizzazione è offerta in modo tanto largo come in Italia, può capitare che in alcuni casi la si accetti in maniera passiva e non consapevole e che non se ne comprenda a pieno l’importanza. Questo comporta che quando la percezione del rischio è molto alta, come succedeva appunto nel caso della poliomielite quando ancora non era stata sconfitta, la vaccinazione diventa automaticamente una pratica consolidata. Ma quando la percezione del rischio è più bassa o la malattia meno riconosciuta, come nel caso dell’influenza ma anche della sepsi o della meningite da Hemophilo influenzae b, raggiungere una copertura totale delle popolazioni a rischio può diventare più difficile. Soprattutto nel caso dell’influenza, poi, c’è un ulteriore difficoltà: dato che esistono varianti che cambiano di anno in anno, non solo il vaccino va ripetuto ad ogni stagione epidemica, ma c’è  un margine di variabilità sulla sua efficacia sul campo, difficile da prevedere  prima della stagione influenzale.  Di fatto poi  i cittadini  “percepiscono” l’efficacia della vaccinazione in base ad osservazioni personali e questo, forse, può scoraggiare l’immunizzazione.
 
Ma in questo particolare problema gioca un ruolo importante anche il personale sanitario?
Sicuramente la presenza di un sistema pubblico di vaccinazioni così strutturato e diffuso come quello italiano può aver comportato una scarsa consapevolezza o partecipazione di operatori sanitari appartenenti ad altri settori o privati. In altre parole, visto che la sanità pubblica già si occupa in maniera massiccia di questo ambito,  gli altri  se ne occupano meno. 
 
Cosa si può fare ancora in Italia rispetto all’immunizzazione?
Sicuramente bisogna far crescere passare la cultura delle vaccinazione in modo da aumentare la  consapevolezza. Per farlo bisogna sottolineare non solo i benefici che questa ha sul singolo individuo, ma anche i vantaggi che la scelta di una prevenzione collettiva estesa offre a tutta la società.
Facendo l’antitetanica proteggiamo il bambino che cade in bicicletta e si sbuccia un ginocchio; ma nel caso di vaccini per malattie infettive trasmissibili tra esseri umani, come il morbillo che vogliamo debellare entro il 2015, si ha un beneficio indiretto per tutta la comunità, dato che si riduce la circolazione del virus. Ad esempio anche per chi non può essere immunizzato, come i bambini troppo piccoli oppure portatori di alcune patologie particolari.
La cosa di cui bisognerebbe essere consapevoli, il messaggio da far passare, dunque, è che non ci si vaccina solo perché così si è singolarmente protetti, ma anche perché se più persone si vaccinano siamo tutti più protetti.
 
Laura Berardi

21 aprile 2012
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