Hiv. E intanto si studia l'effetto di un peptide anti-Aids
01 AGO - Una particolare molecola prodotta dall’organismo ha dimostrato di riuscire a prevenire efficacemente il contagio da Hiv in diversi modi. Ma lo stesso peptide non funziona in presenza di siero sanguigno. Ora i ricercatori cercano di scoprire perché.
La ricerca va avanti, non solo nel campo del trapianto delle cellule staminali, ma anche in quello dell’immunologia. Anche un sistema immunitario danneggiato infatti può, in alcune condizioni, continuare a combattere aspramente, seppure il nemico sia una delle patologie risultate più difficili da combattere negli ultimi 30 anni: l’Aids. Le molecole e le sostanze prodotte come difese dal nostro sistema immunitario sono innumerevoli, tra queste esistono anche delle particolari sostanze antimicrobiche, dei peptidi chiamati defensine. Una di queste in particolare si chiama Hnp1 (human neutrophil peptide 1) e ha dimostrato di ostacolare, in alcune circostanze, l’infezione da Hiv, con un meccanismo non ancora del tutto compreso dai ricercatori della Emory University che l’hanno scoperto. La notizia è stata pubblicata su
Journal of Biological Chemistry.
Usando una linea cellulare umana, il team di ricerca ha infatti dimostrato che – quantomeno in laboratorio – il peptide Hnp1, prodotto sia dal sistema immunitario che dall’epitelio, può prevenire l’accesso dell’Hiv nelle cellule sane in più modi: prima di tutto riducendo il numero di target specifici cui il virus potesse attaccarsi; secondo, legandosi allo stesso virus e alla membrana cellulare, prevenendo una fusione tra Hiv e cellula. Il tutto in modo che il patogeno fosse in effetti interdetto ad entrare nella cellula, ma non lo fossero invece le altre molecole utili per essa. Tutto ciò però non avveniva in presenza di siero sanguigno, quando Hnp1 si legava correttamente ai target elencati, ma non era efficace come sulla linea cellulare, il che vuol dire che il peptide potrebbe non avere le stesse proprietà quasi miracolose all’interno dell’organismo umano.
Il risultato del team statunitense rimane comunque un buon punto di partenza per ricerche future: il lavoro suggerisce che la struttura stessa di Hnp1 possa essere importante per la sua funzione anti-Hiv, e il problema del siero sanguigno potrebbe essere legato solo alla possibilità di questo peptide di formare complessi di più sub-unità. “La ricerca fornisce una nuova prospettiva sulle defensine, capaci non solo di riconoscere e neutralizzare normali patogeni, ma dall’effetto anche sull’Hiv”, ha commentato
Gregory Melikyan, coordinatore dello studio. “Si apre dunque un nuovo filone di ricerca, che riguarda Hnp1 e le sue proprietà anti-virali e la possibilità di usarlo per combattere sia l’Hiv che altri virus che si infiltrano nelle cellule in maniera simile”.
Laura Berardi
01 agosto 2012
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