Sangue e plasma. Per clinici e associazioni la donazione deve restare volontaria, ma il sistema va potenziato
di Lucia Conti
Il primo appuntamento del 2022 con Camerae Sanitatis accende i riflettori sul processo di produzione di farmaci plasmaderivati. Dalle riflessioni di Ianaro (Scienza&Salute), De Angelis (CNS), Briola (AVIS), Prete (AIEOP), Pignata (IPINET), Segato (AIP OdV), Marra (CIDP Italia Onlus), Gentile e Lattuada (Takeda Italia) e Boldi (Camera dei deputati) idee e strumenti per rafforzare il sistema
02 MAR - Salvaguardare il sistema di donazione di sangue e plasma su base volontaria e gratuita, ma incentivarlo attraverso campagne di sensibilizzazione e informazione. Tenendo ben a mente, tuttavia, che per coprire il fabbisogno non c’è bisogno solo di donatori, ma di un sistema organizzato e omogeneo a livello nazionale e, auspicabilmente, anche europeo. Un sistema che sappia dialogare e coordinarsi con le aziende, ma anche con i clinici e le associazioni. Perché il sistema sangue può funzionare davvero solo se c’è dialogo tra tutti gli attori che in qualsiasi modo ne fanno parte. Sono questi alcuni degli spunti emersi nel corso della prima puntata del 2022 di Camerae Sanitatis, la quindicesima da quando il format editoriale multimediale dell’Intergruppo parlamentare Scienza & Salute e di SICS editore è nato.
La puntata è stata dedicata all’impatto delle terapie con plasmaderivati in Europa e alle possibili soluzioni per l’Italia”. A confrontarsi nel corso della trasmissione condotta da Ester Maragò (Quotidiano Sanità) sono stati, oltre all’on. Angela Ianaro, presidente dell’Intergruppo Parlamentare Scienza&Salute e professore di farmacologia Università Federico II di Napoli; Vincenzo De Angelis, direttore del Centro nazionale sangue (Cns); Gianpietro Briola, presidente dell’AVIS (Associazione Volontari Italiani del Sangue); Arcangelo Prete, presidente di AIEOP (Associazione Italiana Ematologia Oncologia Pediatrica) e membro della Società Italiana di Pediatria (SIP); Claudio Pignata, coordinatore nazionale del Gruppo di Lavoro Immunodeficienze primitive (IPINET) presso Università degli Studi di Napoli Federico II; Alessandro Segato, presidente AIP OdV (Associazione Immunodeficienze Primitive); Massimo Marra, presidente CIDP Italia Onlus (Associazione italiana dei pazienti di neuropatie disimmuni acquisite CIDP); Luca Gentile, Pubblic Affairs, Patient Advocacy & Communications Director di Takeda Italia; Alessandro Lattuada, Rare Business Unit Director di Takeda Italia; Rosanna Boldi, vicepresidente della commissione Affari Sociali della Camera dei deputati.
Il dibattito ha preso le mosse dalla presentazione di alcuni dati certi: il plasma è la componente più voluminosa del sangue umano, non è sintetizzabile e la sua disponibilità dipende esclusivamente dalle donazioni. Le terapie plasma derivate vengono utilizzate per trattare un'ampia gamma di malattie rare. Si calcola che più di un milione di pazienti in Europa soffra delle 12 malattie rare più note che possono essere tutte trattate con terapia plasma derivate. Per alcune di queste malattie rare non esistono alternative. Per i pazienti che ne soffrono, dunque, le terapie plasma derivate sono un salvavita.
Il plasma è quindi prezioso. E ne serve molto. Basti pensare che per curare una persona con immunodeficienza primitiva per un anno occorrono 130 donazioni di plasma. In caso di emofilia invece, ne occorrono 1200. Per il deficit Apha-1 anti-tripsina ne occorrono 900.
In Italia, tuttavia, questa preziosa materia prima in buona parte manca. Nonostante gli sforzi dei donatori, il nostro Paese riesce infatti a garantire solo fino al 70% del fabbisogno per tutti i plasmaderivati necessari ai pazienti italiani. Un risultato comunque migliore di quanto avvenga in molti Paesi d’Europa.
Per coprire il restante 30% del fabbisogno, l’Italia ricorre all'acquisto di plasma dall’estero, in particolare dagli Usa, che da soli soddisfano oltre il 60% del fabbisogno mondiale di plasma. A spingere le donazioni, negli Usa, anche il fatto che i donatori vengono rimborsati per il loro gesto (in Italia la donazione è gratuita). Un incentivo, indubbiamente. Che tuttavia non convince gli ospiti di Camerae Sanitatis, convinti in modo unanime che il corpo umano non debba il alcun modo essere in alcun modo “mercificato”, neanche per una buona causa, come la donazione di sangue e plasma.
“L’approvvigionamento del plasma tramite donazione gratuita, diffusa un po’ in tutta Europa, affonda le radici in una visione etica e nella volontà che le persone hanno di aiutare gli altri sapendo che il loro dono consentirà la produzione di farmaci salvavita senza i quali i nostri ospedali non funzionerebbero e tante persone non vivrebbero”, ha detto Vincenzo De Angelis. “Negli Usa la raccolta di plasma è affidata a dei Centri gestiti perlopiù dalle stesse aziende farmaceutiche che poi lavoreranno quello stesso plasma e lo trasformeranno in medicinale. Il donatore riceve un compenso per la sua donazione, la cui cifra che varia secondo la logica di mercato: c’è meno plasma, il donatore viene pagato di più; c’è più plasma, il donatore viene pagato di meno. È chiaro che questo rende l’approvvigionamento più facile, perché per raccogliere più plasma basterà pagare di più i donatori. Il sistema europeo, in sintesi, persegue una visione etica, ma questo ci rende dipendenti da altri Paesi extra Europa e ha un prezzo: abbiamo le industrie, anche più di quante ce ne siano negli Stati Uniti, e abbiamo il know how, ma manca una buona parte della materia prima, cioè il plasma”.
La situazione italiana, ha spiegato il direttore del CNS, non è poi così negativa rispetto al resto d’Europa in termini di copertura di fabbisogno. “Tuttavia ci sono forti disomogeneità sul territorio, con Regioni in cui il plasma raccolto è più che sufficiente ai bisogni di quel territorio, e Regioni in cui non si arriva neanche alla metà”. Per De Angelis, allora, è questa la grande sfida: “Raccogliere quel 30% che ci serve a coprire i nostri bisogni e come si fa in Europa a raggiungere questo risultato”. La commissione Europea, ha riferito De Angelis, ha recentemente avviato alcune iniziative in questo senso. Questo perché “la pandemia ha fatto sì che ci fosse meno plasma da esportare dagli Usa. Averne più a disposizione in Europa è diventato quindi essenziale, perché non averne è una minaccia alla salute delle persone”.
Per il presidente del CNS si tratta anche di una questione di messa in sicurezza del nostro Paese. “Un giorno potrebbe capitare che dagli Usa non arrivi più plasma sufficiente per produrre farmaci plasmaderivati. Abbiamo già assistito, in Italia, ad alcune carenze di farmaci plasmaderivati, che abbiamo risolto comprandoli a un prezzo altissimo. Potrebbe però arrivare il giorno in cui questi farmaci non saranno più reperibili, qualsiasi sia il prezzo che saremo disposti a pagare”. Per De Angelis occorre quindi insistere sull’autosufficienza del nostro Paese, ricordando che, in fondo, “il vero safety stock, cioè la fonte di approvvigionamento sicura, sta nelle vene dei donatori”.
Sulla stessa linea Gianpietro Briola, per il quale la donazione gratuita di sangue è un valore che non va perduto. “Vorremmo però, sia come sistema pubblico che come associazioni, avere la possibilità di contribuire di più alla copertura del fabbisogno attraverso una gestione dei centri di raccolta più efficiente e flessibile”. Il presidente dell’AVIS ha spiegato come oggi ci siano, in Italia, circa 1,6 milioni di donatori, che però donano spesso non più di una volta all’anno. “Non è la loro volontà a mancare, ma un sistema in grado di soddisfare e incentivare questo desiderio di donare”. Una delle questioni sollevate durante la puntata, ad esempio, riguarda l’impossibilità di ottenere permessi dal lavoro per i donatori con contratti di lavoro non dipendente. Parliamo di milioni di potenziali donatori che non possono venire a donare perché non hanno la possibilità di giustificare l’assenza dal lavoro. D’altra parte, con i centri di raccolta sangue aperti solo poche ore al giorno, trovare il tempo per un appuntamento al di fuori dell’orario di lavoro non è semplice.
Per il presiedente dell’AVIS tutte queste difficoltà che allontanano le persone dalla donazione vanno risolte. Migliorando il sistema e cercando di creare un legame tra centri di raccolta e donatori. “I donatori - ha detto Briola - devono diventare consapevoli del valore del dono e sentirsi responsabili del loro ruolo. Fare crescere la responsabilità dei donatori significa poter fare programmazione e creare un circuito virtuoso in base al quale oggi mi serve il plasma e raccolgo il plasma; domani mi serve il sangue intero e raccolgo il sangue intero, e così via”.
Per il presidente dell’AVIS, tuttavia, il valore del plasma prima ancora che ai donatori va spiegato ai decisori, “politici, ma anche direttori generali e direttori sanitari. Se non solo loro i primi ad essere consapevoli del valore strategico del plasma, ogni sforzo che arriva dalle persone rischia di essere inutile”.
Arcangelo Prete, ha peraltro evidenziato come il fabbisogno di plasmaderivati sia destinato a crescere nel tempo, grazie ai successi della medicina e della diagnostica. “Il numero di malati in termini assoluti non è cresciuto. È cresciuto il numero di pazienti che raggiungono le condizioni cliniche giuste per accedere a queste terapie”.
Fino a 20 anni fa circa, ha spiegato il presidente di AIEOP, “almeno il 20% dei pazienti non iniziava le terapie perché non ne avrebbe in alcun modo tratto vantaggio. Oggi, invece, abbiamo la possibilità di curare il 90% di questi pazienti e di farli guarire. Ma perché questo avvenga, c’è bisogno di plasma”.
Claudio Pignata ha voluto ribadire anche la necessità di “rendere omogenee le situazioni nelle diverse regioni” ma, ha evidenziato, "se vogliamo evitare che la disponibilità dei farmaci sia condizionata dalle leggi di mercato, è necessario omogeneizzare il sistema anche a livello europeo ed evitare che le aziende siano incentivate a vendere i prodotti a uno Stato anziché ad un altro”. Per Pignata, poi, serve appropriatezza prescrittiva: “I prodotti plasmaderivati sono utili per molte patologie, ma solo per alcune sono l’unica opzione terapeutica. Questo va considerato quando si utilizzano i farmaci”.
Massimo Marra, ha portato l’esperienza dei pazienti di neuropatie disimmuni acquisite (CIDP): “Siamo circa 10mila pazienti in Italia e per noi le immunoglobuline sono terapie di prima linea”. Un paziente con CIDP, ha spiegato Marra, “può chiedere, solo per sé, fino a 1000 donazioni all’anno, un consumo evidentemente molto importante ma essenziale, perché quel farmaco ci serve per camminare, per alzarci la mattina, prendere un bicchiere di acqua ed essere autonomi nell’igiene personale”.
Quanto alla copertura del fabbisogno, per Marra è necessario, tra le altre cose “individuare un ente - che può essere il Centro nazionale sangue o il Ministero della Salute - quale unico soggetto destinato a contrattare sul mercato internazionale l’acquisto dell'intero quantitativo di farmaco necessario per l’Italia, sottraendo il processo di acquisto alle singole regioni o al singolo ospedale e, in questo modo, ottimizzando il risultato”.
Anche Alessandro Segato è convinto che “accentrare le decisioni” sia la strada giusta “per evitare anzitutto la disomogeneità tra Regioni”. La donazione di sangue, però, “deve rimanere gratuita”. Il presidente AIP OdV ha si è poi unito all’appello per una maggiore appropriatezza che tenga conto delle reali necessità dei pazienti. “L’Aifa - ha riferito - ha approvato un decalogo sulle classi di priorità di accesso ai farmaci in caso di un calo di forniture di prodotto. Per noi sarebbe importante che questi criteri di appropriatezza e di priorità venissero utilizzati sempre, perché il plasma è un dono prezioso e non va sprecato, neanche quando ce n’è disponibilità”.
Anche per Segato è essenziale, infine, una campagna di informazione e formazione, per far conoscere il valore della donazione di plasma per questi malati.
A portare al dibattito il punto di vista delle aziende sono stati Luca Gentile, Pubblic Affairs, Patient Advocacy & Communications Director di Takeda Italia, e Alessandro Lattuada, Rare Business Unit Director di Takeda Italia.
“La produzione di farmaci plasmaderivati è molto complessa - ha evidenziato Luca Gentile - e non può prescindere dal comparto produttivo privato, perché il sistema pubblico non ha alternative: se eliminiamo l’industria privata, eliminiamo il farmaco”. La sfida, però, “è garantire la continuità di trattamenti ai pazienti che, come è stato detto, stanno diventando sempre più numerosi”. L’impresa non è impossibile, secondo Gentile, tenuto conto che “per un farmaco che ha delle caratteristiche esattamente uguali - cioè i vaccini anti Covid - la politica è stata in grado di trovare soluzioni e prendere decisioni”. L’auspicio è quindi che “la politica possa mettere in campo delle soluzioni nel breve, medio e lungo periodo, perché l'approvvigionamento di plasma non è qualcosa che avviene in pochissimo tempo. Tra la donazione alla messa a disposizione di farmaci plasmaderivati passano dagli 8 ai 12 mesi”, ha spiegato.
Il primo passo, secondo Gentile, è creare “una cabina di regia nelle mani del Ministero della Salute”.
Alessandro Lattuada ha continuato a raccontare il punto di vista delle aziende spiegando che “all'interno del mondo dei plasmaderivati il costo della materia prima rappresenta circa il 57% del totale, contro un 14% dei farmaci tradizionali”. Dunque “il rischio che un fornitore possa non essere in grado di soddisfare la domanda aggiuntiva di plasma a fronte di un eventuale aumento dei costi della materia prima è concreto”.
L'attuale sistema, per Lattuada, oltre alle debolezze già descritte, subisce, in Italia, “una forte limitazione che è data dal pagamento del payback per il plasma importato che, oltre ad essere un costo aggiuntivo a quel 57% per la materia prima, rappresenta anche un elemento di instabilità, dal momento che è impossibile definire il suo valore al momento dell’acquisto”. Il payback, infatti, viene calcolato l'anno successivo sulla base dello sforamento del budget farmaceutico dell'anno precedente.
L’auspicio, dunque, è “che dalla politica arrivino grandi novità in tema di concorrenza per le aziende che lavorano il plasma”.
A chiudere gli interventi, i rappresentanti della politica. Rosanna Boldi, anzitutto, che auspica iniziativa da parte dell’Unione Europea, “ma alcune iniziative potremmo prenderle anche a livello di Paese Italia. Molte di queste sono state proposte nel corso della discussione”. La vicepresidente della commissione Affari Sociali della Camera dei deputati ha quindi voluto ricordare che “esiste, presso il ministero della Salute, un tavolo che dovrebbe essere permanente, al quale partecipano i rappresentanti di tutte le realtà; istituzioni, associazioni, società che abbiamo sentito parlare nel corso di questo incontro. Ecco, forse la prima cosa da fare sarebbe implementare le riunioni di questo tavolo”. Per Boldi una posizione importante in questa partita deve infatti arrivare dalMministero della Salute.
A tirare le fila del confronto, Angela Ianaro, che ha comunicato di avere presentato una risoluzione in XII commissione Affari Sociali e in XIV commissione Politiche dell'Unione Europea proprio sul tema dei plasmaderivati. “Spero che venga calendarizzata presto, perché contiene moltissimi dei punti di cui abbiamo parlato oggi, sia per quello che riguarda la necessità di una regia di acquisto che di un coordinamento europeo, fino alla necessità di migliorare la raccolta attraverso una gestione più flessibile dei centri”. Per la presidente dell’Intergruppo Scienza&Salute essenziale sarà anche il dialogo con le aziende e il potenziamento delle tecnologie di produzione. Ma anche per Ianaro tutto questo presuppone “un maggiore coordinamento e una capacità di risposta da parte del ministero della Salute”.