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Le cure del futuro fra tecnologia, genetica e terapie digitali

di Lucia Conti

Le terapie avanzate sono una vera e propria rivoluzione in ambito medico. Entro il 2030 è attesa l’autorizzazione di circa 50 nuovi prodotti, ma già oggi ce ne sono una decina a disposizione. Un futuro, quindi, che è già cominciato. In che modo le aziende si sono preparate a raccogliere questa sfida? Ne abbiamo parlato con Annarita Egidi (Takeda), Michele Perrino (Medtronic Italia); e Sergio Liberatore (IQVIA), in occasione dell’ultimo dei sei Excellence Talks organizzati nel Celebration Day dei Life Science Excellence Awards 2021 organizzato da Sics.

25 MAR - Le terapie avanzate sono una vera e propria rivoluzione in ambito medico, con strategie capaci di portare un innegabile vantaggio per la salute dei pazienti, risultando in alcuni casi trasformative. Questo numero è destinato a crescere considerevolmente nel prossimo futuro: gli analisti prevedono, infatti, che entro il 2030 saranno autorizzati circa 50 nuovi prodotti di terapie avanzate. Oggi siamo dunque in una fase che potremmo definire 'pilota', perché nei prossimi 10 anni arriveranno molte nuove terapie nella pratica clinica, destinate a patologie sempre di nicchia, ma sicuramente meno rare.
Un futuro che è già cominciato e che si gioca tra tecnologia, genetica e risorse digitali applicate alla scienza e alla ricerca, nell’ottica di un obiettivo chiaro e rivoluzionario: la personalizzazione della cura. I primi traguardi raggiunti sono sotto gli occhi di tutti: l’arrivo delle terapie CAR-T, di quelle geniche e cellulari ha rivoluzionato la storia della farmacologia.

Come si stanno preparando le aziende a raccogliere questa sfida? Lo hanno spiegato Annarita Egidi, general manager di Takeda; Michele Perrino, amministratore delegato di Medtronic Italia e Sergio Liberatore, managing director di IQVIA, in occasione della giornata evento organizzata da Sics per la consegna dei Life Science Excellence Awards 2021.

 
 
“Stiamo vivendo, nella storia della farmacologia e della farmacoterapia, un secondo cambio di paradigma”, ha spiegato Liberatore. “La prima fase era caratterizzata dal passaggio dalle piccole alle grandi molecole biologiche, questa seconda fase ha per protagonista le terapie avanzate. È cambiato il tipo di trattamento, da sintomatico a curativo. È cambiata la centralità della terapia, che non è più tanto nel prodotto ma nella piattaforma che c’è intorno. È cambiato anche il target: se prima si cercavano farmaci in grado di aiutare il maggior numero possibile di persone, ora la terapia diventa mirata”.
Un approccio del tutto diverso, ma che ha consentito di offrire speranze di cura anche a quelle persone per le quali, fino a poco tempo fa, non esistevano trattamenti efficaci.
 
Per il managing director di IQVIA “siamo ancora in una fase intermedia, il passaggio tra i due paradigmi non è ancora completamente compiuto”. Questa è la fase in cui “i vari sistemi, Ssn e aziende, si devono adattare a questo nuovo modo di fare salute”. Per quanto riguarda le aziende, secondo Liberatore, ciò significa anzitutto “migliorare l’efficientamento della fase di sviluppo clinico. La pandemia ha già consentito un’accelerazione, la ricerca clinica sta vivendo momento di grande sviluppo, ma il sistema va reso più efficiente e le aziende devono essere messe nelle condizioni di poter avere accesso e fare più uso de dati di real world e real life. Questo significa investire sulla digitalizzazione, ma anche sulle piattaforme tecnologiche”, ha concluso Liberatore.
L’oncologia è uno dei settori della Medicina maggiormente interessato dall’avvento delle nuove terapie. Molte aziende, ha spiegato Egidi, “stanno strutturando un’organizzazione ad hoc per questo ambito di intervento, perché ciò consente di avere un sistema più snello e una catena più corta. Di avere, quindi, una connessione più forte tra Ricerca e Sviluppo, accesso al mercato e informazione medico-scientifica - quindi all’utilizzo farmaco - di quanto non avvenga con un sistema più aperto e complesso”.
 
Questa nuova organizzazione, ha aggiunto Egidi, “consente anche di aprire alle collaborazioni, in modo da non usare solo le proprie competenze ma avere a disposizione anche quelle dei partner”. Del resto, ha evidenziato la general manager di Takeda, “medicina di precisione significa trovare le risposte giuste per ciascun singolo paziente. Questo vuol dire conoscere in profondità il paziente e per farlo è necessario un lavoro multiprofessionale”.
Per Perrino occorre “guardare a tre aspetti: cosa, dove e come”. Cosa, ha spiegato, “si riferisce alla necessità di rendere i nostri prodotti più smart, più accessibili, più connessi con tutto il mondo dei servizi e delle soluzioni, in una visione di salute olistica”.
Dove, ha proseguito, vuole dire “uscire dalla logica ospedalocentrica, perché al centro deve esserci il paziente”. Paziente, ha evidenziato l’amministratore delegato di Medtronic Italia, che “dobbiamo poter prendere in carico paziente in ambiti diversi: dal proprio domicilio alla Casa di Comunità, dall’ospedale e poi ancora al domicilio. L’industria deve necessariamente essere partecipe di tutti questi ambiti”.
Infine “come”, che per Perrino significa avere “un paziente che si appropria della propria cura, un paziente al centro perché è protagonista”. Però significa anche “partnership”, una visione “non monopolistica ma inclusiva delle competenze, per prendere in carico il paziente e tutti i suoi bisogni”.
 
Quali saranno, quindi, i driver per le aziende delle lifescience del futuro? Per Liberatore “sicuramente la creazione di piattaforme dove scienza e tecnologia possano incontrarsi. Tuttavia non c’è una sola risposta. Prendersi cura è qualcosa di complesso. Significa terapia, logistica, farmacovigilanza… tutti questi elementi saranno inevitabilmente toccati dall’arrivo delle terapie avanzate”.
Per Liberatore bisogna poi avere chiaro che "le terapie avanzate sono vive. Ne arriveranno altre, e il sistema dovrà prenderne atto, anche dal punto di vista regolatorio. È necessario uno sforzo per un salto di livello collettivo, a cui devono partecipare aziende, istituzioni e stakeholder del sistema sanitario, pazienti compresi”.
Un salto che coinvolgerà anche il mondo della malattie rare che, come ha evidenziato Egidi, “sono rare solo se messe a confronto con altre malattie. Ma parliamo comunque di milioni di persone, 2 milioni solo nel nostro Paese. È evidente come l’impatto delle malattie rare sulla società e sulle famiglie sia enorme”.
 
Per Egidi “possiamo fare molto sul fronte ricerca per le terapie. Tuttavia ci sentiamo responsabili di un progetto più grande, che riguarda la diagnosi e il benessere complessivo del paziente”. L’impegno delle imprese è nel “cercare di supportare il paziente in tutto percorso di cura e in tutti i suoi bisogni, contribuendo anche a fare crescere la consapevolezza delle malattie rare presso il grande pubblico e presso la classe medica. Perché è evidente - ha argomentato Egidi - che molti medici di famiglia incontreranno difficilmente un paziente con una malattia rara. Questo può rendere difficile il riconoscimento della patologia e, di conseguenza, ritardare la diagnosi con tutto ciò che ne consegue”.
Per la general manager di Takeda uno sforzo sempre maggiore dovrà poi essere compiuto nella “gestione della terapia per autosomministrazione e nelle soluzioni per i trattamenti a domicilio, perché questi sono aspetti che avranno benefici davvero enormi sulla qualità di vita dei pazienti”.
Del resto, ha evidenziato Perrino, “le aziende farmaceutiche nascono per loro. Quello che è importante per i pazienti, è importante per noi. È un legame dirette fortissimo, una partnership che però va costantemente rinnovata”.
Per Perrino il momento è propizio: “C’è la volontà, ci sono le potenzialità e c’è anche la liquidità per influire in modo incisivo, nella consapevolezza che investire sulla salute e sul benessere significa investire sul futuro”. Allora, ha concluso Perrino, “non dobbiamo sperare che i soldi del Pnrr vengano spesi bene, dobbiamo lavorare affinché ciò avvenga”.
 
Lucia Conti

25 marzo 2022
© Riproduzione riservata

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