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Rottura del tendine d’Achille: terapia non chirurgica efficace quanto l’intervento

di Gene Emery

Uno studio pubblicato dal The New England Journal ha messo in evidenza come, a livello di outcome per il paziente, non ci sia una differenza sostanziale tra chirurgia e terapia non chirurgica. La chirurgia, però, riduce del 90% il rischio di una nuova rottura.

14 APR -

(Reuters Health) – A livello di outcome a un anno, per un paziente con il tendine d’Achille rotto, sottoporsi a un intervento chirurgico maggiore, a un’operazione mininvasiva o a una terapia non chirurgica non fa molta differenza. È quanto evidenzia uno studio pubblicato dal New England Journal of Medicine e guidato da un team di ricercatori coordinato da Stale Myhrvold, dell’Akershus University Hospital di Lorenskog, in Norvegia. Lo studio ha comunque messo in evidenza che la chirurgia riduce il rischio di nuova rottura di circa il 90%.

Le rotture del tendine d’Achille stanno diventando più comuni e si osservano soprattutto negli uomini più anziani e attivi. Le stime annuali di incidenza variano da cinque a 50 eventi ogni 100mila persone. La ricerca ha riguardato 526 pazienti, trattati in quattro centri norvegesi e che hanno ricevuto una riabilitazione indipendentemente dal tipo di terapia cui si sottoponevano. L’outcome è stato valutato con un punteggio a 10 domande e una scala a 100 punti, in cui il punteggio più alto rifletteva uno stato di salute migliore.

Dopo 12 mesi, i punteggi erano diminuiti di 17 punti rispetto ai livelli pre lesione tra i pazienti che non avevano subito l’intervento chirurgico, di 16 punti tra quelli che avevano subito un intervento maggiore e di 14,7 tra coloro che si erano sottoposti a un’operazione mininvasiva, una differenza non significativa.

Inoltre, mentre solo lo 0,6% dei pazienti che aveva subito l’intervento è andato incontro a una nuova rottura, il tasso saliva al 6,2% quando non veniva eseguita alcuna procedura chirurgica. La metà di questi eventi si è verificata nelle prime dieci settimane dall’infortunio e sono state dovuti soprattutto a incidenti o a carichi elevati, per cui, come spiegano gli autori, “basterebbe seguire le raccomandazioni e non impegnarsi in attività ad alto rischio nei primi sei mesi per evitare nuove rotture”,

Infine, sono state osservate lesioni nervose in nove dei 172 pazienti che hanno subito un intervento mininvasivo, in cinque dei 176 che si sono sottoposti a un intervento maggiore, e in uno su 178 tra chi non si è sottoposto a intervento.

The New England Journal of Medicine (https://bit.ly/3upDFBy   https://bit.ly/3LQFai2

Gene Emery

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)



14 aprile 2022
© Riproduzione riservata

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