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Carcinoma epatocellulare. Ok di Aifa a combo atezolizumab-bevacizumab negli adulti non sottoposti a terapia sistemica


L’Agenzia Italiana per il Farmaco ha approvato la terapia combinata atezolizumab-bevacizumab per il trattamento di pazienti adulti con carcinoma epatocellulare avanzato o non resecabile non sottoposti a precedente terapia sistemica. Il via libera dell’Aifa si basa sui dati dello studio IMbrave 150, dal quale emerge la sopravvivenza globale più lunga osservata in uno studio di Fase III in prima linea nel carcinoma epatocellulare non resecabile

01 GIU -

La Gazzetta Ufficiale ha pubblicato l’approvazione da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco di atezolizumab in combinazione con bevacizumab di Roche nei pazienti adulti affetti da carcinoma epatocellulare avanzato o non resecabile (HCC) non sottoposti a precedente terapia sistemica.

L’approvazione di atezolizumab in combinazione con bevacizumab per il trattamento di pazienti con carcinoma epatocellulare non resecabile o metastatico non sottoposti a precedente terapia sistemica fa seguito al parere positivo espresso dal Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) nel settembre 2020 e della Commissione UE nel novembre dello stesso anno. Nel maggio 2020, anche la Food and Drug Administration aveva approvato la combinazione dei due farmaci per questo tipo di pazienti. Atezolizumab in combinazione con bevacizumab è stato, inoltre, incluso come raccomandazione di classe I, A dalla European Society for Medical Oncology (ESMO) per il trattamento dei carcinomi epatocellulari non resecabili, così come da molte linee guida per la pratica clinica a livello globale.

I dati dello studio IMbrave150

I dati relativi allo studio IMbrave150 hanno evidenziato che atezolizumab fornisce la più lunga sopravvivenza globale osservata in uno studio di Fase III in prima linea nel carcinoma epatocellulare non resecabile (HCC).

L’analisi primaria dello studio IMbrave 150 ha mostrato infatti che dopo un periodo di follow-up di 8,6 mesi, atezolizumab in combinazione con bevacizumab ha ridotto il rischio di morte (sopravvivenza globale) del 42% (hazard ratio [HR]=0.58; 95% CI: 0.42–0.79; p=0,0006). Dopo un follow-up mediano di 15,6 mesi, lo studio ha inoltre sottolineato come atezolizumab in combinazione con bevacizumab abbia ridotto il rischio di morte (sopravvivenza globale; OS) del 34%, con una OS mediana di 19,2 mesi, rispetto a 13,4 mesi per il sorafenib (hazard ratio [HR]=0,66; 95% CI: 0,52-0,85).

“L’approvazione della combinazione atezolizumab-bevacizumab rappresenta una pietra miliare nell’ambito dell’epato-oncologia. Dopo più di 10 anni di immobilità è finalmente disponibile un trattamento di prima linea capace di prolungare la sopravvivenza dei pazienti affetti da epatocarcinoma non resecabile, pazienti delicati che non sono solo affetti da una malattia tumorale ma anche da una disfunzione del fegato – osserva Antonio Gasbarrini, Ordinario di Medicina Interna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Campus di Roma e Direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS -. La sopravvivenza media dei pazienti trattati con la combinazione è stata di 19.2 mesi, che rappresenta la sopravvivenza più lunga mai riportata da uno studio di fase III per il trattamento sistemico dell’epatocarcinoma non resecabile. Ciò rappresenta una grande passo avanti nella gestione del paziente affetto da epatocarcinoma, che non solo amplia l’orizzonte terapeutico ma ci guida verso una sempre maggiore personalizzazione della terapia, a vantaggio del paziente.”

Dallo studio emerge anche che i pazienti trattati con la combinazione atezolizumab e bevacizumab riportano un deterioramento della qualità della vita e delle funzionalità fisiche significativamente più lento rispetto al braccio di controllo.

“Il trattamento dell’epatocarcinoma è da anni una grande sfida e, per la prima volta in uno studio clinico randomizzato di fase 3, la combinazione tra atezolizumab e bevacizumab si è dimostrata estremamente significativa dal punto di vista statistico, rilevanza clinica, superiore alle terapie precedenti in termini di attività e di efficacia, che può essere somministrata per tutta la durata necessaria al controllo della malattia – sottolinea Fortunato Ciardiello, Ordinario di Oncologia Medica e Prorettore Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli- Questi sono i dati migliori finora ottenuti nella storia della terapia dell’epatocarcinoma e sono confortanti sotto il profilo di maneggevolezza e tollerabilità con ottimi risultati anche sulla qualità di vita dei pazienti. L’interazione tra l’immunoterapia e la terapia anti angiogenetica rappresenta il nuovo standard terapeutico per il paziente con epatocarcinoma non più trattabile con trattamenti locoregionali, ma che necessita di terapia sistemica”.

“Data la particolare complessità della patologia, spesso diagnosticata tardivamente, e che presenta spesso comorbidità, è importante che i pazienti con epatocarcinoma vengano seguiti da una squadra multidisciplinare composta da specialisti con diverse competenze – dice Ivan Gardini, Presidente dell’Associazione EpaC Onlus – Mettere infatti a sistema una presa in carico nella quale intervengono parallelamente gastroenterologi, oncologi, chirurghi e radiologi diagnostici ed interventistici può rappresentare la strategia funzionale per guidare i pazienti verso strutture con i migliori percorsi diagnostici e terapeutici”.

Inoltre, AIFA ha approvato anche l’estensione dell’uso di atezolizumab in monoterapia per il trattamento di prima linea nel carcinoma polmonare non a piccole cellule in stadio metastatico con elevata espressione di PD-L1. Lo studio registrativo IMpower110 ha dimostrato un miglioramento statisticamente e clinicamente significativo della sopravvivenza globale (OS), con una diminuzione del 31% del rischio di morte e oltre il 60% dei pazienti vivi a 1 anno. Grazie a questa ulteriore estensione di indicazione, atezolizumab rappresenta oggi la prima e unica immunoterapia ad agente singolo contro il tumore al polmone, disponibile in tre dosaggi, che consentono la somministrazione ogni due, tre o quattro settimane, mettendo così a disposizione di medici e pazienti una maggiore flessibilità nella gestione del trattamento.

L’utilizzo di atezolizumab in questo setting terapeutico è un’alternativa efficace e cost-saving rispetto all’attuale standard di cura, secondo la prospettiva del Sistema Sanitario Nazionale. Un risparmio che può tradursi in risorse da reinvestire potenzialmente nelle diverse fasi del percorso diagnostico-terapeutico del paziente.



01 giugno 2022
© Riproduzione riservata

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