Covid. È italiana la miglior ricerca traslazionale in ambito trapiantologico del 2021
Lo Studio della Rete trapianti italiana è stato premiato come migliore ricerca internazionale dalla Transplantation society. Dalla ricerca è emersa una correlazione tra la presenza di alcuni antigeni HLA e una maggiore predisposizione al Sars-CoV-2. Cardillo (Cnt): “L’Italia dei trapianti ha dimostrato di saper dare anche un contributo importante sotto il profilo della ricerca scientifica e dell’innovazione”
09 GIU -
La Transplantation Society ha premiato lo studio realizzato dalla Rete trapianti del Ssn nel quale è emersa una correlazione tra la presenza di alcuni antigeni HLA e una maggiore predisposizione all’infezione da Sars-CoV-2.
La giuria dell’organizzazione che riunisce gli specialisti della trapiantologia di tutto il mondo ha attribuito il prestigioso “Anthony P. Monaco Award” all’articolo “HLA and AB0 Polymorphisms May Influence Sars-CoV-2 Infection and Covid-19 Severity”, che è risultato tra i più citati dalla comunità scientifica internazionale tra quelli pubblicati sulla rivista “Transplantation”. La premiazione ufficiale si terrà il 13 settembre prossimo a Buenos Aires durante il 29mo congresso internazionale della Transplantation Society.
La ricerca, realizzata grazie all’impegno del Centro nazionale trapianti, dei centri di trapianto e di coordinamento regionale di tutta la rete italiana, ha acquisito i dati sui pazienti positivi al coronavirus presenti nella primissima fase della pandemia nel registro di sorveglianza epidemiologica del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, e li ha incrociati con i dati del Sistema informativo trapianti sul profilo genetico di 56.304 persone, quasi 48mila pazienti trapiantati e oltre 8mila persone in lista d’attesa per un organo. I risultati hanno evidenziato per la prima volta che la presenza della variante HLA-DRB1*08 nei soggetti analizzati è più frequentemente associata sia ai casi di positività, con un’incidenza all’incirca doppia, sia ai decessi per Covid-19, con una probabilità tre volte maggiore.
Lo studio dunque suggerisce come questa particolare variazione genetica, presente nel 6% della popolazione italiana e maggiormente frequente nelle regioni del Nord Italia (9%) rispetto a quelle del Sud (3%), svolgerebbe meno bene di altre varianti HLA il ruolo di attivazione del sistema immunitario nel riconoscimento del coronavirus.
“Siamo orgogliosi di questo riconoscimento che arriva dopo due anni di grandissimo impegno – dichiara il direttore del Centro nazionale trapianti
Massimo Cardillo – l’Italia dei trapianti ha dimostrato non solo di essere capace di preservare la propria attività clinica nonostante l’enorme impatto della pandemia sull’organizzazione ospedaliera, ma anche di saper dare un contributo importante sotto il profilo della ricerca scientifica e dell’innovazione, come testimoniano questo studio e i molti primati raggiunti come il primo protocollo mondiale per l’utilizzo dei donatori di organi covid-positivi. Questi risultati sono frutto di una strategia di cooperazione virtuosa tra tutti i centri e laboratori della Rete trapianti sul territorio e le strutture e le banche dati del Cnt e dell’Iss: è quando sappiamo fare sistema che la nostra sanità raggiunge l’eccellenza”.
“La comunità scientifica ha validato la bontà della nostra intuizione e la qualità del nostro lavoro”, sottolinea il professor Antonio Amoroso, medico genetista dell’Università di Torino, coordinatore regionale per i trapianti del Piemonte e primo autore dello studio. “Partendo dall’enorme mole di dati a nostra disposizione per la gestione clinica dei pazienti italiani trapiantati e in attesa di trapianto, siamo riusciti a dare un contributo significativo per una migliore comprensione dei meccanismi dell’infezione da Sars-CoV-2 e dell’evoluzione della patologia. Grazie alla Transplantation Society per aver voluto premiare questo risultato”.
09 giugno 2022
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