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Covid nei pazienti fragili: dati real life ‘promuovono’ anticorpi monoclonali e trattamento precoce


In Italia circa 30 morti al giorno per infezioni da SARS-CoV-2: se l’annuncio della fine della pandemia da Covid 19 è vicino, i rischi per i soggetti fragili non sono terminati. Ecco perché la comunità scientifica per questi pazienti ad elevato rischio di progressione verso forme gravi di Covid 19 raccomanda una terapia precoce dell’infezione mediante anticorpi monoclonali. Il National Institute for Health and Care Excellence (Nice) ha raccomando l’utilizzo di un anticorpo monoclonale, sotrovimab, per i pazienti con più alto rischio di sviluppare una malattia grave e per i quali siano controindicate altre opzioni terapeutiche. Non tutti gli anticorpi monoclonali sono stati superati, dunque, dall’emersione di nuove varianti e questo permette di avere maggiori possibilità ed alternative di trattamento dei pazienti fragili.

22 MAR -

Fiato sospeso nel mondo per l’attesa dichiarazione di fine pandemia da virus Sars-CoV-2 da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la stessa autorità che 3 anni fa ci ha catapultati nella realtà di un’emergenza sanitaria senza precedenti nella nostra era. Covid-19 dovrebbe dunque essere presto ‘declassato’ a fenomeno endemico. Ma cosa rimane del temuto coronavirus in Italia? I numeri dell’ultimo bollettino del ministero della Salute parlano di 212 i decessi causati ancora dal virus in una settimana, circa 30 al giorno, principalmente fra pazienti fragili. E sono proprio loro che hanno bisogno che se ne continui a parlare e che si faccia una valutazione puntuale delle armi terapeutiche oggi a disposizione. Su questo tema si è tenuto oggi a Roma l’incontro “mAbs nell’Early Treatment. Controversie e consensi nel paziente fragile con Covid-19: non creiamo anticorpi”, promosso da GlaxoSmithKline.

Contro Covid-19 rimane una priorità di sanità pubblica incrementare tutte le attività finalizzate a una corretta profilassi vaccinale e all’applicazione di protocolli terapeutici precoci e mirati. Soprattutto per coloro che risultano ad elevato rischio di progressione verso forme di malattia grave. “Il vaccino ha fatto tanto e su questo dobbiamo essere tutti d’accordo – ha sottolineato Massimo Andreoni, direttore scientifico Società Italiana di Malattie Infettive e tropicali (Simit) - evidentemente però non può fare tutto. Ogni vaccino, quando utilizzato su chi non ha un’immunità valida, può non riuscire a dare una copertura sufficiente. E se non usiamo farmaci efficaci su queste persone ‘parzialmente difese’, il problema esiste. Ma i farmaci ci sono, abbiamo un antivirale molto efficace, con il limite però di avere molte interazioni farmacologiche e stiamo parlando di pazienti con comorbilità, che assumono molti altri medicinali. Un’altra arma è rappresentata dagli anticorpi monoclonali, che hanno il vantaggio di impedire al virus di entrare nella cellula, mentre l’antivirale agisce su un virus già penetrato nella cellula e che si sta per replicare. Questi trattamenti però si portano con loro il concetto di early treatment: una volta che sono passati i primi giorni malattia, combatterla diventa complicato. Vanno usati nei primissimi giorni, altrimenti è molto più probabile che si crei uno stato infiammatorio difficilmente gestibile. Su questo occorre che i medici di medicina generale considerino nei giusti casi che dare queste terapie è la miglior scelta da fare. Ma oggi la fragilità passa molto dagli ospedali e quindi questo messaggio deve arrivare anche agli specialisti”.

L’armamentario terapeutico esiste e va scelto guardando al quadro della situazione e alla tipologia di pazienti: “I farmaci che chiamiamo ‘small drugs’, come gli antivirali – ha evidenziato Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia e diagnostica di immunologia all'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma – sono efficaci, ma ne abbiamo oggi praticamente solo uno, e dobbiamo trattare migliaia di pazienti al giorno. Sugli anticorpi monoclonali non vorrei che si buttasse ‘il bambino con l’acqua sporca’. Ovvero, fino a dicembre 2021 si producevano nuovi monoclonali alla stessa velocità con cui il virus cambiava. La situazione attuale è che oggettivamente la maggior parte degli anticorpi disegnati su varianti precedenti non hanno più un’efficacia rilevante. Ma ce ne sono alcuni che hanno mantenuto un’efficacia significativa nella pratica clinica. E qui si apre un fronte: in molti posti del mondo questi prodotti sono stati ‘cassati’ sulla base di dati in vitro, ma non abbiamo visto dati reali che dimostrassero la loro inefficacia”. Lo spartiacque è rappresentato proprio dalla disponibilità di dati real life: “Quando si parla di efficacia di strategie terapeutiche – ha spiegato Andreoni - esistono due modi di vedere le cose: gli studi in vitro, che hanno portato alla registrazione di un prodotto. Ma quello che per il clinico rimane il dato fondamentale è la real life: quando usiamo il farmaco nella pratica clinica, funziona o no? Parliamo di decine di migliaia di casi, centinaia di migliaia di casi, contro poche centinaia negli studi registrativi. La real life è la conferma dell’efficacia del farmaco. Sull’anticorpo monoclonale per il Covid-19 sotrovimab, ad esempio, sono disponibili dati di pratica clinica che confermano come sia in grado di ridurre rischio di evoluzione di malattia, di ospedalizzazione, di terapia intensiva, di morte. Dati che hanno spinto autorità nazionali britanniche e tedesche a raccomandarne l’uso. E’ tranquillizzante sapere che abbiamo ancora valide armi per combattere una malattia che non è ancora da chiudere in cassetto, archiviata come banale”. Esistono infatti significative evidenze cliniche in real life provenienti dal Regno Unito, fra gli altri, che, su casistiche di decine di migliaia di pazienti, confermano l’efficacia e la sicurezza di sotrovimab durante il periodo d Omicron incluse le varianti recentemente emerse. Questi risultati hanno portato il Nice britannico a includere sotrovimab come trattamento di scelta per i pazienti in cui il trattamento con antivirale orale (nirmatrelvir più ritonavir) non è indicato.

“La sieroterapia – ha ricordato Giovanni Di Perri, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell'Ospedale Amedeo di Savoia di Torino - si utilizzava negli anni ’40, poi sono arrivati gli antibiotici e nessuno se ne è più occupato. Quando abbiamo iniziato a curare il Covid la davamo ai pazienti all’ultimo stadio, invece ora è chiaro che vanno somministrati prima, in fase precoce. Lo sviluppo futuro di questo sistema è che si somministrerà contro i batteri resistenti, perché è in crisi quell’elemento che li aveva sostituiti, ovvero la terapia antimicrobica. Un ‘passaggio di consegne’, in parte. Quando al Covid, oggi nelle terapie intensive non abbiamo più il 40enne sano, per i pazienti che ci sono occorre avere procedure, conoscenze e strumenti per trattare subito l’infezione. Se riduciamo la quantità di virus, riduciamo la probabilità di peggioramento. E questo lo si fa con gli anticorpi monoclonali, ignorati fino al 2021, quando si continuava a parlare di clorochina, mentre c’erano già in commercio dei farmaci che potevano salvare vite. Poi ci sono gli antivirali. Usiamo gli uni e gli altri, in una formula ancora off label, perché lottando quando ancora i danni non sono stati fatti o ridurli, quello che succede a valle è molto più facile da affrontare”.


Sotrovimab – hanno spiegato gli esperti - è un farmaco innovativo per due aspetti principali: nel suo approccio di sviluppo e per il suo meccanismo d’azione. Per quanto riguarda il primo aspetto, nonostante sia stato sviluppato nel pieno della prima fase pandemica e quindi in un contesto di inusuale emergenza e contingenza, si è scelto di essere disegnare l’anticorpo considerando uno scenario pandemico/endemico di lungo termine prendendo in considerazione ciò che poi è effettivamente stata la sfida più difficile, l’insorgenza delle varianti virali. Da questa scelta di sviluppo consegue il secondo aspetto che riguarda il meccanismo d’azione: sotrovimab si lega ad un epitopo altamente conservato della proteina Spike, già presente nel virus Sars-CoV-1, presente all’interno del Receptor Binding Domain ma al di fuori del Receptor Binding Motif che è la zona maggiormente suscettibile alle mutazioni del virus.

Considerando sempre il meccanismo d’azione, sotrovimab ha altre due caratteristiche che ne potenziano l’efficacia: una mutazione che conferisce un’aumentata emivita e l’inserimento della funzione effettrice che permette all’anticorpo di stimolare una risposta immunitaria che coadiuva quella dell’organismo e che potenzia, tramite due meccanismi cellulari, la rimozione e inattivazione del virus. L’insieme di queste caratteristiche rende sotrovimab un anticorpo monoclonale con un meccanismo d’azione innovativo in grado di adattarsi all’evoluzione della patologia, assicurano. “Oggi – ha concluso Perno – in Italia circola maggiormente la variante Omicron e questo prodotto è assolutamente efficace nel combattere le conseguenze di un’infezione grave”.



22 marzo 2023
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