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Parkinson: a che punto siamo?


Un incontro nell’astigiano per fare il punto sulla patologia vedrà impegnati i maggiori esperti italiani di Parkinson. Tra i temi del dibattito, il giusto timing dell’inizio delle terapie, come curare la malattia nella fase avanzata, a che punto sono gli studi relativi alla neuroprotezione, come rendere più agevole al paziente parkinsoniano la complessa terapia.

10 SET - "La malattia di Parkinson è la seconda patologia neurodegenerativa in ordine di frequenza dopo la malattia di Alzheimer e colpisce in Italia oltre 250 mila persone. La sua prevalenza a livello mondiale è stimata attorno all’1-2% della popolazione di età superiore ai 65 anni.
Ma il Parkinson, sotto molti aspetti, continua a rimanere un mistero.
Per questa ragione alcuni dei massimi esperti italiani della patologia si sono dati appuntamento il 10 e 11 settembre a Cioccaro di Penango, nei pressi di Asti, per discutere quali approcci terapeutici utilizzare nelle diverse fasi della malattia di Parkinson, come gestire i casi complessi, quali i progressi della ricerca scientifica per riuscire a rallentare l'evoluzione della patologia.
"Il Parkinson presenta ancora oggi molte zone d'ombra”, ha spiegato Giovanni Asteggiano, direttore della Struttura Complessa di Neurologia degli Ospedali di Alba e Bra. “Sono ancora sconosciute, ad esempio, le cause: non si è, infatti, scoperto perché i neuroni vadano in atrofia e non producano più dopamina, un neurotrasmettitore del sistema nervoso centrale, preposto alla regolazione del movimento".
Tra gli argomenti al centro dell’incontro, la cui realizzazione ha goduto del sostegno di Boehringer Ingelheim Italia, il giusto timing dell’inizio delle terapie “come curare la malattia nella fase avanzata quando i farmaci diventano poco efficaci, a che punto sono gli studi relativi alla neuroprotezione, come rendere più agevole al paziente parkinsoniano la complessa terapia”, ha proseguito Asteggiano.
“Verrà poi fatto il punto della situazione, dopo numerosi anni dall'introduzione nella pratica clinica, dei farmaci dopamino-agonisti che hanno determinato un importante cambiamento del trattamento della Malattia di Parkinson. Questa categoria di farmaci, infatti, viene affiancata generalmente alla terapia classica con levodopa, dimostrando una buona sicurezza, un'ottima azione e, soprattutto nelle formulazioni recenti, una migliore compliance per il paziente".
È il caso, ad esempio, del pramipexolo, un dopamino-agonista, il cui uso è stato notevolmente incoraggiato negli ultimi anni in seguito alla pubblicazione di studi che hanno dimostrato come il precoce utilizzo possa ritardare significativamente l’insorgenza delle fluttuazioni motorie e per il quale nel mese di luglio 2010 è stata lanciata la nuova formulazione in compresse a rilascio prolungato che associa ai benefici clinici il vantaggio della monosomministrazione giornaliera.
E poi si cercherà di comprendere quali siano le ragioni del mancato successo di un filone di ricerca molto promettente: quello della neuroprotezione, ossia la ricerca di terapie finalizzate non tanto a un miglioramento sintomatico ma a un rallentamento dell’evoluzione della malattia stessa.
"La ragione per cui non si è ancora riusciti a individuare molecole in grado di rallentare la progressiva morte dei neuroni - ha concluso Giovanni Abbruzzese, ordinario di Neurologia presso l’Università di Genova - sta probabilmente nei meccanismi responsabili della malattia di Parkinson, che sono molteplici e si intersecano gli uni con gli altri. È quindi probabile che i farmaci fino a oggi presi in considerazione, agiscano su un singolo meccanismo. E questo non è sufficiente a interrompere la cascata di eventi che conduce al danno dei neuroni cerebrali". 

10 settembre 2010
© Riproduzione riservata

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