Sindrome di Lynch. Fondazione Onda ETS: occorre un impegno condiviso per migliorare i percorsi di prevenzione, diagnosi e cura
Numerose evidenze dimostrano l’efficacia delle strategie di prevenzione nei soggetti portatori di questa condizione ereditaria associata ad un aumentato rischio di sviluppare neoplasie, come il tumore del colon-retto e dell’endometrio. Tuttavia, ad oggi è largamente sotto-diagnosticata. Solo due Regioni. Lombardia e Campania, prevedono test specifici per l’individuazione di soggetti a rischio. Gli indirizzi di intervento sono raccolti nel documento redatto a seguito del Tavolo Istituzionale promosso da Fondazione Onda ETS.
12 SET - La sindrome di Lynch è una condizione ereditaria associata a un aumentato rischio di sviluppare nell’arco della vita diversi tipi di neoplasie, principalmente tumori gastrici, del colon-retto e dell’endometrio. Eppure basterebbe davvero poco per individuare per tempo i potenziali pazienti, salvandoli così da un percorso terapeutico spesso invasivo e invalidante. Un semplice test, già inserito da tempo nei LEA, non solo potrebbe consentire un monitoraggio delle persone a rischio, ma si calcola una riduzione della mortalità, per esempio del tumore del colon, fino al 60% grazie proprio una tempestiva presa in carico del paziente. Numeri enormi che al momento rimangono scritti sulla carta, come il suggerimento dello screening universale, datato 2008, e le indicazioni specifiche del Piano Oncologico Nazionale. La Sindrome di Lynch è tuttora largamente sotto-diagnosticata. Ad oggi il 98% dei pazienti non è individuato per tempo. Inoltre, si rileva una marcata disomogeneità dei percorsi diagnostico-terapeutici a livello regionale con conseguenti disparità sul territorio nazionale rispetto alla sua identificazione.
Sono stati questi i temi al centro di un Tavolo Istituzionale promosso da Fondazione Onda ETS nei giorni scorsi, in modalità virtuale, con il patrocinio di Aifet - Associazione Italiana Familiarità ed Ereditarietà Tumori, Aiom - Associazione Italiana di Oncologia Medica, Cittadinanzattiva APS, Favo - Federazione Italiana Associazioni Di Volontariato In Oncologia, Uniamo - Federazione italiana malattie rare onlus, e con il contributo incondizionato di GSK. L’evento è stata occasione di un confronto tra Istituzioni, comunità scientifica, Associazioni pazienti e società civile da cui sono emerse le traiettorie di intervento per aumentare la conoscenza dei tumori eredo-familiari, con particolare riferimento alla Sindrome di Lynch, favorire un accesso equo e omogeno ai percorsi dedicati alla valutazione del profilo di rischio genetico e ai centri di riferimento. I risultati dei lavori sono stati raccolti in un
documento, pubblicato in questi giorni, dal titolo “Sindrome di Lynch: un impegno condiviso per migliorare i percorsi di prevenzione, diagnosi e cura”.
La sindrome di Lynch può essere causata da varianti patogenetiche dei geni codificanti le proteine coinvolte nel sistema di riparazione del DNA mismatch repair (cosiddetti geni MMR, in particolare MLH1, PMS2, MSH2 e MSH6), la cui frequenza nella popolazione generale è stata stimata 1 su 279. Numerose evidenze dimostrano l’efficacia delle strategie di prevenzione – attraverso programmi di sorveglianza intensiva o interventi di chirurgia profilattica – nei soggetti portatori di una di queste varianti, siano essi affetti dalla Sindrome di Lynch o loro familiari sani ad alto rischio oncologico.
L’identificazione delle famiglie con Sindrome di Lynch attraverso criteri clinici, basati sulla storia familiare e sulla precocità d’insorgenza dei tumori correlati, ha dimostrato una bassa sensibilità. Pertanto, in molti paesi è stato proposto il ricorso allo screening universale attraverso l’analisi immunoistochimica delle proteine MMR nei campioni istologici di tutti i nuovi casi di tumori colorettali e dell’endometrio. Al test cosiddetto somatico (eseguito sul tumore) deve poi seguire un percorso di consulenza genetica volta all’identificazione dei soggetti portatori di varianti patogenetiche affetti dalla Sindrome di Lynch e alla pianificazione della presa in carico dei loro familiari ad alto rischio oncologico.
“Nonostante siano disponibili robuste evidenze che dimostrano l’efficacia delle strategie di prevenzione nei soggetti portatori delle varianti patogenetiche, in termini di maggior sopravvivenza e miglior qualità della vita, nonché di riduzione dei costi a carico del Sistema sanitario, nel nostro Paese si registra una marcata disomogeneità dei percorsi per l’identificazione della Sindrome di Lynch. Un dialogo aperto e un confronto costruttivo tra Società scientifiche, Associazioni pazienti e Istituzioni rappresentano i presupposti essenziali per affrontare una sfida complessa e multidimensionale che non è soltanto organizzativa e formativa ma anche culturale, per assicurare equità e pari opportunità a tutti i cittadini in tutte le Regioni”, dichiara
Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda ETS.
Le Raccomandazioni Aiom pubblicate nel 2022 prevedono l’integrazione del test universale su campioni istologici di tutti i nuovi casi di tumori colorettali e dell’endometrio con la consulenza genetica oncologica, indispensabile per una corretta interpretazione del test e per la definizione di programmi di prevenzione e sorveglianza personalizzati. Solo due Regioni, Lombardia e Campania, hanno raccomandato, attraverso specifici decreti, l’uso dell’analisi immunoistochimica per la valutazione delle proteine MMR su tutti i nuovi casi di cancro colorettale ed endometriale come test universale per identificare la Sindrome di Lynch. La Campania, in particolare, ha codificato nell’ambito dei PDTA dedicati ai tumori eredo-familiari un percorso specifico per la Sindrome di Lynch e costruito un modello di presa in carico multidisciplinare in raccordo con la Medicina generale e sei centri di riferimento per le consulenze genetiche. Altre Regioni suggeriscono ma non formalizzano l’uso del test universale, con il conseguente utilizzo del test in modo spontaneo e in assenza di un coordinamento con il percorso di consulenza genetica oncologica.
La carenza di genetisti (in generale e ancor più specializzati in ambito oncologico) rappresenta una delle principali criticità ed è aggravata dall’assenza nel Sistema sanitario italiano di una figura professionale a supporto (genetic counsellor). Per garantire un accesso equo e omogeneo ai percorsi di screening e di presa in carico dei soggetti ad alto rischio eredo-familiare è necessario investire risorse nelle reti oncologiche, nella formazione dei medici, in particolare dei medici di Medicina generale, e nella digitalizzazione. “Seguiremo con il Parlamento le iniziative necessarie per tenere conto delle esigenze di queste persone”, conclude On.
Elisabetta Gardini, Cofondatrice dell’Intergruppo Parlamentare sulle malattie rare e oncologiche.
12 settembre 2024
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