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Incontinenza urinaria maschile. Ne soffre un italiano su dieci 


Ne soffrono almeno 5,1 mln di persone sopra i 18 anni, il 6% sono uomini il 14% donne, con un sensibile incremento della prevalenza al crescere dell’età. Tra i  fattori di rischio anche le disfunzioni cognitive e i disordini neurologici e trattamenti invasivi e mininvasivi per patologia prostatica. A fare il punto gli esperti della  Clinica urologica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs

13 SET -

In Italia sono incontinenti almeno 5,1 milioni di persone sopra i 18 anni (3,7 milioni di donne e 1,4 milioni di uomini, con un rapporto di 2,7 a 1 tra i due sessi). In altri termini, su 100 italiani almeno 10 soffrono di incontinenza urinaria, 6% tra gli uomini e 14% circa tra le donne, con un sensibile incremento della prevalenza al crescere dell’età.

L’incontinenza urinaria è quindi un problema molto comune nella popolazione mondiale, con risvolti negativi sulla qualità di vita e sui costi per la società. Ferma restando la classificazione dell’incontinenza urinaria in incontinenza da urgenza, mista e da sforzo, i dati epidemiologici più recenti mostrano come il tipo di incontinenza urinaria più frequente negli uomini sia quello da urgenza (40-80%), seguito dal tipo misto (10-30%), ed in ultimo da quello da sforzo (<10%).

Questo il tema sotto i riflettori della clinica urologica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs.

Fattori di rischio e trattamenti Tra i fattori di rischio, spiega una nota, rientra sicuramente l’invecchiamento, le disfunzioni cognitive e i disordini neurologici e soprattutto i trattamenti invasivi e mininvasivi per patologia prostatica. Tra gli interventi chirurgici più frequentemente eseguiti in ambito urologico e che più frequentemente esitano in incontinenza urinaria da sforzo si annovera la prostatectomia radicale.

L’incontinenza da sforzo nell’uomo, infatti, è essenzialmente legata a trattamenti sulla prostata che alterano la normale funzionalità dello sfintere urinario. Il meccanismo sfinteriale maschile può essere diviso funzionalmente in due componenti: lo sfintere urinario interno, composto dal collo vescicale, dalla prostata e dall’uretra prostatica; lo sfintere urinario esterno, che si estende anatomicamente dal verumontanum al bulbo prossimale, ed è composto dal rabdomiosfintere e dalle strutture muscolari e connettivali parauretrali di supporto, in particolare dai legamenti puboprostatici e pubouretrali anteriormente e dalla fascia di Denonvilliers posteriormente. Il corretto funzionamento di entrambi garantisce la continenza urinaria. Come esito della prostatectomia radicale, il meccanismo sfinteriale interno risulta compromesso e la continenza urinaria risulta affidata esclusivamente al meccanismo sfinteriale esterno.

Altri trattamenti chirurgici e non, per patologia prostatica, sia essa maligna o benigna, come la resezione endoscopica di prostata (TURP) o la radioterapia per tumore di prostata, si associano al rischio di incontinenza da sforzo post-trattamento, sebbene con una minore incidenza. L’incontinenza urinaria da sforzo post-TURP è legata a lesioni dello sfintere urinario esterno in corso di procedura e ha un’incidenza media dell’1,2%.

Il tasso di incidenza dell’incontinenza urinaria da sforzo post prostatectomia radicale è stato per decenni al centro di controversie, spiega ancora la nota, alimentate spesso dalla definizione stessa di incontinenza e dalla metodologia di raccolta dati nei diversi studi. Quel che è certo, è che grazie all’affinarsi delle tecniche chirurgiche e all’introduzione di nuove tecniche mirate al precoce recupero della continenza urinaria, oltre che all’ introduzione della chirurgia robotica, il tasso di recupero della continenza è aumentato negli ultimi anni, attestandosi tra il 68% e il 97% dopo 12 mesi dalla chirurgia. Da non sottovalutare è il ruolo della fisiochinesiterapia del pavimento pelvico peri-operatoria, che accelera il recupero della continenza urinaria postoperatoria.

Il trattamento chirurgico dell’incontinenza urinaria da sforzo post prostatectomia radicale è da considerarsi un trattamento di seconda linea ed è pertanto indicato soltanto in Pazienti in cui l’approccio conservativo (stile di vita, fisioterapia) non ha avuto i risultati sperati, come indicato anche nelle linee guida della Società Europea di Urologia.

Non esistono linee guida sul corretto timing dell’intervento chirurgico, ma è necessario comunque tener conto del fatto che spesso il tasso di recupero della continenza urinaria dopo prostatectomia radicale tende a salire nel corso del primo anno e può migliorare anche durante l’anno successivo; pertanto, un eventuale intervento chirurgico deve essere preso in considerazione dopo almeno un anno dall’intervento di prostatectomia radicale, sebbene secondo alcuni autori, qualora non ci siano sostanziali benefici dalle terapie conservative, già dopo 6 mesi si può considerare l’opzione chirurgica.

Esistono diversi tipi di opzioni chirurgiche, che spaziano da interventi minimamente invasivi a soluzioni più invasive. Tra queste, ad oggi il gold standard è considerato l’impianto di sfintere urinario artificiale (artifical urianry sphyncter, AUS), che però risulta essere una procedura invasiva e non accettata da tutti i pazienti. Gli agenti volumizzanti, le sling sottouretrali e i palloncini periuretrali concludono il ventaglio di opzioni per il trattamento chirurgico della SUI nell’uomo.



13 settembre 2024
© Riproduzione riservata

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