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Sovrappeso e obesità non accorciano la vita


Una ricerca su Jama mette in discussione il rapporto automatico tra peso e malattia. E il perché sta in diversi fattori: gli obesi accedono alle cure migliori, fanno più screening, il grasso aiuta contro le infezioni. E poi le tabelle Oms sull'obesità non si adattano a tutti i paesi e questo può falsare le statistiche.

04 GEN - Per lungo tempo si è detto che essere sovrappeso fa male alla salute, e accorcia la vita. Ma parte di questo pensiero potrebbe oggi essere stato smentito da uno studio statunitense del National Center for Health Statistics, uno dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC), pubblicato su Journal of the American Medical Association. La ricerca sembrerebbe infatti dimostrare come essere sovrappeso o addirittura lievemente obesi potrebbe essere associato a una mortalità diminuita per tutte le cause. O in altre parole, a una vita più lunga.
 
Non c’è che dire, il risultato è piuttosto sorprendente. E non si può neanche dire che lo studio non abbia considerato un campione abbastanza largo di pazienti, visto che si tratta di una dettagliata revisione di 97 studi precedenti, che hanno coinvolto in tutto 2 milioni 880 mila persone in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Europa, passando per Australia, Sud America e Oriente. La più grande e completa review di come il peso, misurato con l’indice di massa corporea (BMI, rapporto tra peso e quadrato dell’altezza), influisca sulla longevità. La conclusione è che se è vero che l’obesità grave ed estrema aumentano anche di molto il rischio di morire prematuramente, essere lievemente obesi o in sovrappeso lo diminuisce: nello specifico il rischio di mortalità per tutte le cause per le persone di obesità di grado 2 e 3 (con BMI maggiore di 35) aumentava del 29%, mentre diminuiva del 5% per le persone di obesità di grado 1 (BMI compreso tra 30 e 35) e del 6% per le persone sovrappeso (BMI compreso tra 25 e 30).
 
Ma come è possibile che la percezione comune che sovrappeso e obesità facciano male sia risultata così palesemente errata? Gli autori hanno alcune idee. Innanzitutto, il fatto che le persone lievemente obese accedono in realtà a cure migliori, sia perché mostrano prima i sintomi delle malattie, sia perché sono sottoposti a screening per le malattie croniche come problemi cardiaci o diabete molto più spesso del resto della popolazione. In alcuni casi, spiegano inoltre gli esperti, quando si hanno infezioni o ci si deve sottoporre a interventi chirurgici qualche chilo in più può essere utile.
Un’altra spiegazione è che non sia vero tanto che essere magri ti fa ammalare più facilmente e accorci la vita, quanto che essere malati renda più magri: questa sottile differenza non è registrata da studi come quelli considerati nella revisione.
 
Inoltre, non è detto che i risultati siano del tutto in contraddizione con quelli precedenti, ma potrebbero solo essere stati usati metri di giudizio diversi: le categorie di obesità e sovrappeso usate, come già spiegato, si basano sui valori di indice di massa corporea stabiliti dall’Oms, che tuttavia non sempre si adattano alla comune percezione di persona “normopeso” o “sovrappeso”. In molti paesi, soprattutto in quelli in cui l’obesità grave è più diffusa, molte delle persone che secondo l’Oms presentano eccesso di grasso ponderale, in realtà sarebbero considerate di peso medio.
Infine, non è affatto detto neppure che il solo peso sia un valore sufficiente per comprendere il rischio di ogni paziente di sviluppare malattie e morire prematuramente. Le più recenti ricerche, infatti, dimostrano come non è solo il grasso a influire sul pericolo, ma anche quale tipo di grasso si sviluppa e dove: ad esempio, il grasso accumulato sull’addome, sembrerebbe incidere di più sul rischio.
 
Tutto ciò sembrerebbe dimostrare che il collegamento tra grasso e longevità è tutto fuorché semplice. Tuttavia, spiegano gli autori a conclusione dello studio, “la stima del rischio di mortalità associato al sovrappeso e all’obesità, può essere utile per tracciare delle indicazioni più precise su come trattare i diversi pazienti”.

04 gennaio 2013
© Riproduzione riservata

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