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Tubercolosi. Scovata molecola che riconosce l’infezione e ne blocca l’attivazione


È un nuovo biomarker immunologico che permette non solo di riconoscere la tubercolosi in forma latente da quella attiva: CXCR5, questo il nome della molecola, è presente sui soli linfociti T capaci di tenere a bada la malattia, e potenzialmente potrebbe portare allo sviluppo di vaccini contro l’infezione.

04 GEN - Potrebbe essere molto utile nella lotta contro la tubercolosi, l’ultimo studio pubblicato dal Children's Hospital of Pittsburgh e dalla University of Pittsburgh School of Medicine su Journal of Clinical Investigation: gli scienziati del team statunitense avrebbero infatti scoperto che la presenza di una certa molecola permette al sistema immunitario di liberarsi efficacemente della malattia dai polmoni e ne prevengono la trasformazione in forma attiva.
 
Una buona notizia per gli oltre due miliardi di persone (un terzo dell’intera popolazione mondiale) che al momento è infetta dal batterio della tubercolosi, il Mycobacterium tubercolosis. L’infezione è difficile da curare in parte anche perché il microrganismo è capace di insinuarsi nelle cellule e rimanere latente anche per anni, senza causare sintomi.  Poi, di solito quando il sistema immunitario ha problemi dovuti ad altre patologie, come ad esempio l’Hiv, l’infezione si attiva e causa la tosse, i sudori notturi, la febbre e la perdita di peso che caratterizzano la patologia. “Il segno distintivo della tubercolosi che si nota nelle radiografie al petto è il cosiddetto granuloma, un insieme di cellule immunitarie che circondano le cellule infette dei polmoni”, ha spiegato Shabaana A. Khader, autrice principale dello studio. “Ma ciò che non sapevamo era quale fosse la differenza tra i granulomi che funzionano correttamente e dunque difendono le cellule, come nel caso della tubercolosi latente, e quelli che invece non lo fanno più, presenti nelle tubercolosi attive. Così, siamo andati alla ricerca di biomarker immunologici che potessero chiarire il reale stato dell’infezione”.
 
Per condurre lo studio, gli scienziati hanno utilizzato sia cellule umane infette dalla tubercolosi che modelli animali della patologia. In questo modo hanno visto che i granulomi che contengono strutture linfoidi ectopiche, che somigliano a linfonodi, sono associate a una corretta soppressione dell’infezione, mentre quelli che non presentano queste strutture corrispondono ai casi di tubercolosi attiva. Gli scienziati hanno anche imparato che i linfociti T che presentano sulla superficie delle molecole chiamate CXCR5 erano associati alla presenza delle strutture linfoidi ectopiche e distinguevano dunque la forma latente da quella attiva. “Il che però individua anche la presenza stessa del batterio”, ha spiegato ancora la ricercatrice. “È proprio la presenza di CXCR5 ad indicare al sistema immunitario che c’è un problema, in modo che questo possa reagire, proprio formando le strutture linfoidi ectopiche e dunque il granuloma protettivo che mantiene l’infezione sotto controllo. Quando questa molecola sparisce, le strutture non si formano e parte l’attivazione”.
 
La ricerca potrebbe ora portare a nuove opzioni terapeutiche visto che il team ha anche dimostrato che se linfociti T provvisti di CXCR5 provenienti da un donatore venivano iniettati in animali infetti che non presentavano la molecola, l’individuazione del batterio e la capacità di formazione delle strutture protettive veniva ripristinata, portando ad una minore suscettibilità alla tubercolosi attiva. “Il potere protettivo di CXCR5 ci spinge a pensare che un modo per tenere definitivamente sotto controllo la tubercolosi esista, e che queste scoperte hanno importanti implicazioni per il futuro sviluppo di vaccini che prevengano l’infezione”.

04 gennaio 2013
© Riproduzione riservata

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