Il gene "spazzino". Ripulisce le cellule e trasforma il grasso superfluo in energia
La scoperta dei ricercatori dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Napoli. Si pensa che possa avere grandi potenzialità applicative in malattie degenerative molto rare come quelle da accumulo lisosomiale o la corea di Huntington. Ma anche per Parkinson, Alzheimer e aterosclerosi.
23 APR - Grassi e rifiuti cellulari in eccesso? A regolarne lo smaltimento ci pensa un unico gene, TFEB. In uno studio pubblicato su Nature Cell Biology,
Andrea Ballabio e
Carmine Settembre dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Napoli dimostrano per la prima volta come all’interno delle nostre cellule la produzione dell’energia e lo smaltimento delle sostanze di scarto siano strettamente collegati: una scoperta dal grande potenziale applicativo non solo nel campo delle malattie genetiche rare. Il gene TFEB è stato descritto per la prima volta nel 2009, e successivamente nel 2011, proprio dal team di Ballabio: sulle pagine di Science, infatti, i ricercatori partenopei avevano dimostrato come questo preciso segmento di Dna sovraintendesse alla produzione e al funzionamento dei lisosomi, gli organelli cellulari deputati allo smaltimento delle sostanze di scarto per evitarne l’accumulo e i conseguenti effetti tossici.
Come ha spiegato il direttore del Tigem, "grazie a questo processo, chiamato 'autofagia', la cellula funziona come un vero e proprio termovalorizzatore, che degrada le molecole già utilizzate e ormai inutili per ricavarne energia. Promuovere questo processo di pulizia potrebbe risultare molto utile nel caso di svariate malattie degenerative, molto rare come quelle da accumulo lisosomiale o la corea di Huntington, ma anche decisamente più diffuse come Parkinson, Alzheimer, aterosclerosi".
Ma l’autofagia è anche un sistema che le cellule possono sfruttare in assenza di nutrienti: quando ci sono poche risorse a disposizione, per esempio durante un digiuno prolungato, l’organismo sfrutta le proprie riserve endogene di energia, i grassi appunto. Come ha spiegato Carmine Settembre, primo autore del lavoro, "abbiamo dimostrato che TFEB gioca un ruolo da direttore d’orchestra anche nel metabolismo dei grassi quando l’energia scarseggia. È in grado infatti di mettere in moto il processo con cui la cellula 'spezzetta' i lipidi e li converte dalla loro forma di deposito a quella immediatamente utilizzabile come fonte energetica". "La controprova è venuta dagli esperimenti su due tipi di topi di laboratorio, con obesità indotta da una dieta molto ricca in grassi e con obesità di tipo genetico - ha proseguito - abbiamo somministrato loro TFEB attraverso la terapia genica e pur non variando l’alimentazione di questi animali abbiamo osservato che non aumentavano di peso e non sviluppavano diabete, né aumento del colesterolo e dei trigliceridi nel sangue, ovvero la ben nota “sindrome metabolica” che rappresenta l’anteprima delle malattie cardiovascolari. Questo significa che TFEB è riuscito a mimare quel processo che si verifica in caso di digiuno e che favorisce l’utilizzo dei grassi, evitandone l’accumulo".
"A scanso di equivoci, questo lavoro non vuole dimostrare che per prevenire l’obesità dovremo ricorrere alla terapia genica - ha commentato Andrea Ballabio - questa tecnica, che in questo momento si sta rivelando molto promettente per diverse malattie genetiche altrimenti incurabili non si presta certamente ad applicazioni di massa. Piuttosto, abbiamo avuto la conferma di come stimolare TFEB faccia 'star bene' le cellule e si possa quindi sfruttare per contrastare la degenerazione progressiva che si osserva in molte malattie, sia rare che molto comuni. Per questo siamo al lavoro per trovare le molecole più adatte a stimolarne l’azione in maniera controllata: sono migliaia le sostanze diverse che stiamo analizzando grazie ai sofisticati macchinari che abbiamo a disposizione al Tigem".
"L’applicazione clinica, insomma - ha concluso - è ancora lontana, ma questo lavoro conferma ancora una volta come dalla ricerca sulle malattie genetiche rare, quelle per cui il nostro istituto è nato grazie a Telethon, possano arrivare ricadute importanti anche per patologie molto più comuni".
23 aprile 2013
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Scienza e Farmaci