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Urologia oncologica. Congresso SIUrO: “Non fate come Angelina Jolie. No alla chirurgia preventiva”


C’è chi, scoprendo di avere una mutazione genetica che aumenta il rischio di sviluppare tumori, si fa asportare gli organi “in pericolo”: si chiama chirurgia preventiva. E il caso più clamoroso è quello di Angelina Jolie, che si è sottoposta a una mastectomia proprio poche settimane fa. Ma gli esperti allertano: “Non è una scelta saggia”.

11 GIU - La storia di Angelina Jolie che si è sottoposta ad un intervento di mastectomia preventiva dopo aver scovato nel suo Dna il gene Brca mutato, che aumenta il rischio di sviluppare cancro al seno di cinque volte, ha fatto il giro del mondo in pochi giorni e ha fatto molto discutere. Ma la vicenda non è un caso isolato, e non si limita al solo tumore al seno: ha fatto altrettanto scalpore a Londra la storia di un manager che si è fatto togliere la prostata sana per scongiurare la possibile insorgenza di un cancro. Una decisione che non piace molto agli esperti, che temono pericolose emulazioni. L’appello che arriva dal XXIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Urologia Oncologica  (SIUrO), in corso fino a martedì 11 giugno a Firenze presso Palazzo degli Affari, è infatti quello di evitare di fare ricorso alla chirurgia preventiva.
 
Per il cancro alla prostata – così come per quello al seno – sono due i geni che di solito si ricercano nelle analisi del Dna: si tratta del Brca1 ma soprattutto del Brca2 che, se mutati, aumentano il rischio di contrarre malattie tumorali in alcuni organi, tra cui la prostata. “È vero, le ultime ricerche hanno dimostrato che l’alterazione, tramite mancate riparazioni del Dna, del gene Brca 2 nel maschio aumenterebbe il rischio relativo di sviluppare il tumore di 9 volte circa rispetto alla popolazione normale”, ha spiegato Giario Conti, Presidente SIUrO. “Tendenzialmente i tumori dovuti ad alterazioni genetiche sono più aggressivi, più veloci e danno più facilmente origine a metastasi. Ma per la prostata, a differenza di quello che accade per il tumore al seno e alle ovaie dove la probabilità è molto alta e dove esistono dei percorsi medici precisi, per il tumore della prostata le conoscenze attuali non sono assolutamente tali da garantire la correlazione tra l’alterazione dei geni e l’insorgenza del tumore.”
 
Il test genetico va richiesto solo per coloro che hanno, in famiglia, diversi casi di tumore aggressivo della prostrata, ossia quando c’è una forte familiarità e si sospetta la presenza di uno di questi due geni. Pertanto, sotto queste condizioni, l’utilità dello screening genetico di massa perde di significato. “La presenza di un'anomalia genetica non rappresenta la certezza di sviluppare il tumore della prostata – ha però specificato Alberto Lapini, Presidente del XXIII Congresso Nazionale SIUrO – e non giustifica in alcun modo una scelta così radicale qual è l’asportazione della prostata.”
Tanto più che, se è vero che se nell’ultimo decennio il carcinoma prostatico è divenuto il tumore più frequente nella popolazione, al contempo continua a diminuirne la mortalità.
 In Italia 1 uomo su 16 di età superiore ai 50 anni è a rischio tumore: oggi sono circa 217 mila gli italiani che convivono con la malattia e il numero di nuovi casi è in continua crescita, con un raddoppio(+ 53%)  negli ultimi dieci anni dovuto soprattutto all'aumento dell'età media della popolazione. Ma questo tipo di tumore non è fra i big-killer, e la mortalità è in continua diminuzione: oltre il 70% dei malati sopravvive dopo i 5 anni dalla diagnosi, grazie ad una maggiore prevenzione, a nuove terapie e farmaci di ultima generazione.
 
 “Non bisogna quindi creare allarmismi e farsi prendere dalla paura – ha concluso Conti – ogni caso va preso in considerazione singolarmente. L’asportazione di una prostata sana è incomprensibile e non condivisibile. L’eccesso di precauzione è dannoso e rischia di esporre a indesiderate conseguenze di operazioni perfettamente evitabili”.

11 giugno 2013
© Riproduzione riservata

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