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Cavernoma cerebrale. Una soluzione alternativa alla chirurgia dall’IFOM di Milano


Il meccanismo di insorgenza di queste malformazioni dei vasi cerebrali è dovuta a due fattori cruciali proprio in molte patologie infiammatorie e nei tumori: le proteine BMP6 e TGF-ß. Inibire queste molecole comporta una riduzione molto significativa dello sviluppo delle lesioni vascolari cerebrali.

17 LUG - Cavernoma cerebrale: una malformazione dei vasi cerebrali, familiare o sporadica, caratterizzata dalla formazione di agglomerati di vasi sanguigni abnormemente dilatati e fragili, chiamati “caverne”, che possono manifestarsi con emorragie intracerebrali, deficit neurologici, crisi epilettiche e mal di testa ricorrenti. Una volta effettuata la diagnosi tramite risonanza magnetica, fino ad oggi l’unico trattamento possibile per curarli era la rimozione chirurgica tramite craniotomia. Ma uno studio approfondito dei meccanismi molecolari alla base della loro formazione sembrerebbe invece indicare la via per approcci terapeutici alternativi alla chirurgia, meno invasivi e più risolutivi. A dirlo uno studio italiano pubblicato su Nature dell’IFOM di Milano.
La ricerca è stata sostenuta da finanziamenti dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e dei altri Enti tra cui la Fondation Leducq, un’organizzazione impegnata nella ricerca sulle malattie cardiovascolari.
 
 
I cavernomi cerebrali
Dalla forma simile a un lampone, i cavernomi cerebrali sono costituiti da un fitto agglomerato di bolle gonfie di sangue e rivestite da una parete endoteliale estremamente sottile e fragile. La serietà e la tipologia dei sintomi dipende sia dalla sede del cervello in cui si trova il cavernoma sia dalla sua dimensione, che va da pochi millimetri a diversi centimetri. Il numero di lesioni può variare da uno, nei casi di tipologia sporadica, ad alcune decine, nel caso di tipologia ereditaria.
Si stima che la probabilità di sviluppare cavernomi cerebrali riguardi più di una persona su 500, ma nella maggior parte dei casi (70-80%) possono rimanere silenti anche per tutta la vita, senza dare alcun sintomo.
La matrice della malformazione può essere sporadica – e cioè presente in un solo individuo e non nei suoi familiari - o ereditaria, con una modalità di trasmissione autosomica dominante. Che sia presente dalla nascita o si origini nel corso della vita, la malformazione presenta sintomi clinici prevalentemente in età adulta, dopo i 20 anni. Se non vi sono evidenze di carattere ereditario, i cavernomi cerebrali sono difficilmente diagnosticabili e spesso vengono scoperti in modo fortuito, nel corso di indagini effettuate per altri motivi. I sintomi difatti non sono specifici e possono essere riconducibili ad altre patologie cerebrali.
Pur essendo sempre più sicura grazie alle metodiche di precisione della microchirurgia, la rimozione neurochirurgica può risultare critica: questo soprattutto se il paziente è un bambino o se il cavernoma è ubicato in un’area cerebrale delicata o nel midollo spinale, perché l’intervento rischia di provocare danni alle strutture cerebrali sane circostanti.
 
Il nuovo metodo
È già noto che la malformazione cavernosa cerebrale è causata, dalla assenza di una delle tre proteine che formano il complesso CCM ( Cerebral Cavernous Malformation) e che sono codificate da tre geni chiamati CCM1, CCM2 o CCM3. Ma fino ad oggi molte questioni rimanevano ancora irrisolte: quali fattori molecolari originano la patologia? Quali sono i meccanismi di alterazione che intervengono nello sviluppo abnorme dei vasi sanguigni?
Un contributo che segna un passo decisivo sia nella direzione della conoscenza molecolare delle Malformazioni Cavernose Cerebrali sia nell’individuazione di una loro cura viene dal nuovo studio dell’IFOM. “Il cavernoma è di fatto assimilabile a un tumore benigno, in cui la moltiplicazione incontrollata e progressiva delle cellule del tessuto rimane circoscritta a una determinata area”, ha spiegato Elisabetta Dejana, responsabile del programma di ricerca IFOM Il sistema vascolare del cancro e professore ordinario di Patologia Generale nel Dipartimento di Bioscienze all’Università degli Studi di Milano. “Come nei tumori, le cellule endoteliali si trasformano e diventano più mobili ed invasive, andando incontro ad una crescita vascolare incontrollata che porta allo sviluppo e l’espansione dei cavernomi.”
“Abbiamo concentrato le nostre ricerche sul gene CCM1, responsabile del 40% dell’insorgenza di cavernomi – ha continuato la ricercatrice – e abbiamo osservato che l’inattivazione di questo gene comportava nella cellula endoteliale la perdita delle sue caratteristiche funzionali specifiche e la trasformazione in cellula mesenchimale”. Questo processo, noto come “transizione endotelio-mesenchimale”, è tipico nei tumori e in altre patologie infiammatorie, in cui le cellule endoteliali acquisiscono elevate proprietà migratorie ed invasive.
Ma come spiegano Luigi Maddaluno e Noemi Rudini, i due primi autori dello studio: “Nei cavernomi abbiamo  notato che questo cambio di funzione è mediato da due fattori cruciali proprio in molte patologie infiammatorie e nei tumori: BMP6 (bone morphogenetic protein 6) e TGF-ß (transforming growth factor beta). In assenza di CCM1, le cellule endoteliali producono in misura abnorme BMP6 e sono più sensibili a TGF-ß - presente in concentrazioni elevate nel cervello – acquisendo così proprietà mesenchimali. Abbiamo quindi sperimentato l’impiego di inibitori di BMP6 o di TGF-ß ed abbiamo osservato una riduzione molto significativa dello sviluppo delle lesioni vascolari cerebrali”.
Questi farmaci sono già esistenti e sono attualmente allo studio per bloccare la proliferazione tumorale o altre patologie infiammatorie. La scoperta apre quindi le porte a possibili applicazioni terapeutiche non troppo lontane dalla pratica clinica: “Aver individuato un approccio terapeutico alternativo alla  neurochirurgia  è una svolta importante per la ricerca ma soprattutto per i pazienti”, ha concluso Dejana. Non è infatti infrequente che i cavernomi si sviluppino nei bambini dove la chirurgia può provocare danni allo sviluppo cerebrale o in pazienti adulti dove non si può intervenire chirurgicamente perché la lesione è di difficile accesso. “Confidiamo adesso di poter avere il supporto necessario per avviare uno studio clinico preliminare”.

17 luglio 2013
© Riproduzione riservata

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