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Il caso Stamina. Se in Italia si crede ancora alle cure miracolose

di Edoardo Altomare

Le polemiche degli ultimi mesi non possono non richiamare le stesse situazioni vissute con i casi di cure miracolose quali quello Di Bella o quello Bonifacio. Nel 1998 il Nobel per la medicina Roger Guillemin dichiarò che vi sono due modi di fare medicina: uno buono che segue i protocolli validati e uno cattivo. Quando lo capiranno gli italiani?

28 FEB - E’ vero quel che scriveva la Sontag alla fine degli anni ’70, che la malattia è il lato notturno della vita. Ed è altrettanto vero che al buio si perde facilmente la ragione, come inevitabilmente succede a tutti quelli che si ammalano gravemente, ed ai loro familiari. Ma fa male scoprire che nel 2014, per tutto ciò che concerne la medicina, in Italia si crede ancora a Babbo Natale con la slitta, alle favole, alle cure miracolose. Alle scorciatoie. Alla possibilità che un isolato ricercatore a tutti sconosciuto possa inopinatamente venirsene fuori con una terapia per malattie incurabili, arrivando con largo anticipo ad un obiettivo fuori dalla portata persino di un’armata planetaria di forze scientifiche e tecnologiche. Che ad esempio possa guarire malati di cancro con un tocco magico, magari col bicarbonato o il veleno di scorpione, o col metodo Di Bella. O che pazienti affetti da malattie neurologiche gravissime e disperate vengano risanati dall’infusione di un cocktail che contiene tracce di pseudo-cellule staminali ed altri ingredienti misteriosi. Senza chiedersi chi e cosa autorizzi a sperare sia pur lontanamente che con quel miscuglio possa verificarsi l’auspicata generazione di nuovi neuroni capaci di riparare i danni provocati dalle malattie neurodegenerative.

Eppure è proprio quello che succede in Italia ai giorni nostri, sessant’anni dopo il caso Bonifacio, il veterinario di Agropoli che somministrava ai malati di cancro un siero ricavato dagli escrementi di capra, senza verifiche né controlli di sorta. A chi conservi memoria della storia dei rimedi miracolosi in Italia dagli anni ’50 ad oggi – dalla cura contro i tumori del dottor Aldo Vieri al siero Bonifacio, appunto, al metodo Di Bella, passando per la proteina anticancro UK 101, l’Urod ed altre pericolose illusioni – le roventi polemiche sviluppatesi negli ultimi mesi attorno al cosiddetto metodo Stamina – meglio non chiamarlo “cura” - non possono non richiamare quelle stesse situazioni.

Abbiamo già visto altre volte, negli anni Novanta, i malati e i loro familiari e sostenitori manifestare per strada o davanti ai palazzi del potere per ottenere di essere curati con metodi non ortodossi e come tali non riconosciuti dalla medicina ufficiale. Abbiamo già visto persone disperate perché ormai prive di ogni altra opzione di cura ed illuse da false ed inconsistenti promesse di miglioramenti spettacolari. Questa volta non sono mancate neppure le foto di Letta e dell’incolpevole ministro Lorenzin schizzate di sangue davanti a Montecitorio.

Ma abbiamo visto anche l’inchiesta tv di Riccardo Iacona – l’unico a rinunciare a facili scoop e a proporre un’onesta analisi critica del fenomeno - con le testimonianze di pazienti “trattati” (a pagamento, ovvio) in ambienti che definire inadeguati è poco, abbiamo letto le risultanze delle indagini e dei sopralluoghi dei Nas, abbiamo verificato ancora una volta lo stupore e l’indignazione di Nature e della comunità degli scienziati italiani e stranieri di fronte ad una vicenda che è un’ulteriore riproposizione di un copione tutto italiano. Abbiamo visto, purtroppo, anche i numerosi servizi televisivi che hanno fomentato l’opinione pubblica nell’ennesima, stravagante rivolta contro la scienza.

Per Davide Vannoni, presidente e fondatore di Stamina Foundation – a proposito, secondo il presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi Palma, non è nemmeno psicologo – dopo l’intensa campagna mediatica si profilano ora molti nuovi pazienti da trattare ma anche guai giudiziari. Le preoccupazioni maggiori ovviamente riguardano le sorti dei pazienti che, disposti a tutto, decideranno di affidarsi ad un metodo che non godendo di alcuna considerazione scientifica, potrebbe rivelarsi non solo inefficace ma anche potenzialmente nocivo. Il ministro Lorenzin ha ragione da vendere quando parla dell’impoverimento della cultura scientifica in Italia, della presenza di un network dell’informazione contrario alle regole del metodo scientifico, e dell’assoluta impreparazione dei ricercatori italiani - evidente anche nel caso Stamina – nell’affrontare efficacemente il confronto mediatico con gli spacciatori di illusioni di ogni epoca.
Il compianto Romeo Bassoli, talentuoso giornalista scientifico, era stato facile profeta ai tempi di Di Bella: “E’ impressionante constatare che il meccanismo è sempre quello, e sempre la stessa è la cultura che viene espressa. Non importa se alla fine per Bonifacio e gli altri è venuto l’oblio. Il fenomeno è destinato a ripetersi ancora. Altri Di Bella verranno”.

Nel 1998, sempre a proposito del controverso caso Di Bella, il fisiologo francese scopritore della somatostatina e Nobel per la medicina Roger Guillemin, dichiarò che esistono due modi di fare medicina: uno buono e uno cattivo. “Quello buono è il metodo di sempre, che consiste nel seguire protocolli validati e progettare studi clinici da portare avanti in centri di ricerca e università qualificate”.
Il problema è: chi riuscirà mai a farlo capire agli abitanti del Belpaese?
 
Edoardo Altomare 
Medico oncologo, giornalista e scrittore

28 febbraio 2014
© Riproduzione riservata

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