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Fecondazione eterologa. Consulta contro il divieto: "E' discriminante". E assicura: "Cancellarlo non crea vuoti normativi”


La Corte Costituzionale spiega le ragioni della bocciatura dello scorso aprile nei confronti della Legge 40. Ma precisa: si riferisce ai casi di “sterilità assoluta”. Per la Corte “avere figli è un diritto incoercibile”. Chiesto però un "limite" alle donazioni. LA SENTENZA.

11 GIU - Il divieto di fecondazione eterologa contenuto nella legge italiana n. 40 del 2004 è discriminante e illegittimo e il potere della Consulta “di dichiarare l’illegittimità costituzionale delle leggi non può trovare ostacolo nella carenza legislativa che, in ordine a dati rapporti, possa derivarne”. Del resto, “nella specie sono identificabili più norme che già disciplinano molti dei profili di più pregnante rilievo, anche perché il legislatore, avendo consapevolezza della legittimità della PMA di tipo eterologo in molti paesi d’Europa, li ha opportunamente regolamentati, dato che i cittadini italiani potevano (e possono) recarsi in questi ultimi per fare ad essa ricorso, come in effetti è accaduto in un non irrilevante numero di casi”.

Così la Corte Costituzionale chiarisce, nella sentenza 162 depositata ieri, le ragioni che l’hanno portata lo scorso aprile a dichiarare incostituzionale il divieto italiano di avere figli effettuando la fecondazione utilizzando ovuli o spermatozoi di una persona esterna alla coppia. Una decisione che aveva provocato una serie di reazioni di preoccupazione rispetto al vuoto normativo che si sarebbe creato, che oggi la Consulta mette a tacere: quel rischio non esiste e non deve esistere.

Ma quali sono le ragioni che hanno spinto la Consulta a schierarsi dalla parte dell’eterologa? Anzitutto il fatto che la formazione di una famiglia, che include la scelta di avere figli, costituisce un diritto fondamentale della coppia, rispondente ad un interesse pubblico riconosciuto e tutelato dalla Costituzione. Del resto, si ricorda nella sentenza, obiettivo della legge n. 40 è favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità della coppia. Quindi, il divieto stabilito dall’art. 4, comma 3, della legge sarebbe discriminatorio ed irragionevole, in quanto tratterebbe in modo opposto coppie con limiti di procreazione, risultando differenziate solo in virtù del tipo di patologia che affligge l’uno o l’altro dei componenti della coppia.

Sarebbe inoltre violato l’art. 32 Cost. perché il divieto in esame lederebbe l’integrità “psichica e fisica” delle coppie con più gravi problemi di sterilità o infertilità, e, ricorda la Consulta, il benessere psichico, al pari di quello fisico, rientra nella nozione di “salute” sancita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Tuttavia, precisa la Consulta, “l’accoglimento delle questioni, in coerenza con il petitum formulato dai rimettenti, comporta l’illegittimità del divieto in esame, esclusivamente in riferimento al caso in cui sia stata accertata l’esistenza di una patologia che sia causa irreversibile di sterilità o infertilità assolute”.

In relazione al numero delle donazioni, poi, la Consulta sollecita “un aggiornamento delle Linee guida, eventualmente anche alla luce delle discipline stabilite in altri Paesi europei (quali, ad esempio, la Francia e il Regno Unito), ma tenendo conto dell’esigenza di consentirle entro un limite ragionevolmente ridotto”.

11 giugno 2014
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