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Speciale farmaco biologico. Quale equilibrio tra continuità terapeutica e sostenibilità economica


Si è svolto ieri a Milano il primo di una serie di incontri promossi dalla Fondazione Charta che vedono istituzioni, clinici, farmacisti ospedalieri e farmacoeconomisti a confronto sui molti interrogativi legati alla comparabilità clinica e all'interscambiabilità tra farmaco biologico e biosimilare

18 GIU - È la “variabilità” a dominare nel mondo dei farmaci biologici strettamente legati ai farmaci biosimilari, la loro opzione terapeutica una volta scaduta la copertura brevettuale. Un connubio strettissimo che apre però le porte a numerosi interrogativi in termini di comparabilità clinica e quindi di interscambiabilità dei due farmaci. Oltre a produrre un patchwork di normative a livello locale che contribuiscono a rendere il quadro ancora più fumoso. Consideriamo, infatti, che in Italia l’unica norma statale che fa riferimento esplicito ai farmaci biosimilari è rappresentata da un provvedimento del 2006 (D.lgs n. 219/06) nel quale si sottolinea la necessità di condurre studi pre-clinici e clinici per dimostrare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci biologici e biosimilari al fine di ottenere l’autorizzazione per la loro entrata nei mercati. A questa si è poi aggiunto un position paper dell’Aifa sui farmaci biosimilari che stabilisce alcuni principi cardine, ma non obblighi.
 
E così, in assenza di una cornice nazionale che regoli la materia, Regione che vai norma che trovi. Anche perché, i farmaci biologici, che rappresentano un’importante risorsa terapeutica per il trattamento di numerose malattie gravi e debilitanti - si va dai tumori alle malattie infiammatorie, fino a quelle autoimmuni, neurologiche e degenerative - scontano un peccato “originale”: i loro costi sono particolarmente elevati. Elemento di non poco conto per le fragili casse regionali, soprattutto quelle in Piano di rientro, tirate per la giacchetta tra l’esigenza di fare quadrare i bilanci regionali e il garantire efficacia di cure e continuità terapeutica ai propri cittadini. Un obiettivo, quest’ultimo, il cui raggiungimento, in termini clinici, è però tutt’altro che scontato.

Per approfondire le diverse sfaccettature che caratterizzano la complessa materia che ruota intorno al  tema del farmaco  biologico, la Fondazione Charta ha voluto organizzare degli incontri ad hoc  in cinque città italiane (Milano, Venezia, Ancona, Firenze e Napoli) nel corso del quale si confronteranno istituzioni, clinici, farmacisti ospedalieri e farmacoeconomisti.
 
Simili, ma non identici. Le indicazioni dell’Ema e dell’Aifa parlano chiaro: il principio attivo dei biosimilari è analogo, ma non identico al farmaco di riferimento, il cosiddetto originator. Simili, ma non identici. Quindi non automaticamente interscambiabili. Tant’è che a differenza di quanto avviene per i farmaci equivalenti, non vale per i biosimilari il principio della sostituibilità automatica.
Caratteristiche biochimiche e produzione sono, infatti, differenti, con tutte le conseguenze del caso in termini di certezza dell’efficacia. La struttura e la forma del biosimilare può, infatti, differire rispetto all’originator e possono anche subentrare contaminanti con la conseguenza di alterarne l’efficacia. Inoltre la replicazione del processo di produzione può presentare alcune criticità: le diversità nella produzione potrebbero anche determinare un differente profilo di sicurezza del biosimilare, con conseguenze negative per i pazienti.
Anche se va anche sottolineato che, grazie a processi produttivi più innovativi, il biosimilare potrebbe presentare profili di sicurezza persino superiori rispetto all’originator. Insomma, l’allievo potrebbe superare il maestro.

Rimane però il fatto che i limiti nell’interscambiabilità dei farmaci non si fermano qui: al differente processo di produzione che non garantisce un’automatica interscambiabilità,si aggiungono la mancanza di studi di “dose finding” mirati ad individuare la dose adeguata di biosimilare, e rischi di immunogenicità (che peraltro esistono anche per i biologici)che potrebbero portare ad insuccessi terapeutici ed anche, nel peggiore dei casi, effetti avversi.
 
Spetta la medico decidere quale farmaco utilizzare. Comunque, i biosimilari costituiscono un’opzione terapeutica aggiuntiva a disposizione dei medici, gli unici professionisti che possono indicare qual è la strada più opportuna da seguire per la somministrazione del farmaco al paziente.
Una decisione rimessa quindi ai professionisti, ma con tratti di “sovranità limitata”.
L’Aifa sottolinea, infatti, che i biosimilari sono da preferire agli originator qualora costituiscano un vantaggio economico, in particolare per il trattamento dei pazienti “naive”, cioè quelli non ancora trattati con i farmaci biologicio per i quali i farmaci con i quali sono stati trattati, secondo il giudizio dello specialista prescrittore, sono “sufficientemente distanti nel tempo”.
 
Indicazioni, ma non regole certe. Sul solco di quanto tracciato dall’Agenzia regolatoria, molte Regioni italiane hanno quindi indicato con grande chiarezza che il biosimilare debba essere la prima scelta per la cura dei pazienti “naive”.
Risultato: i professionisti si potrebbero trovate tra l’incudine e il martello della sostenibilità economica, indicata con determinazione dalle normative regionali, e le decisioni cliniche prese in scienza e coscienza.
Decisioni spesso non facili, che potrebbero andare a cozzare con quanto indicato dalle coordinate regionali. Quali sono, infatti, i pazienti che a tutti gli effetti possono rientrare nella categoria “naive” considerando che l’indicazione “sufficientemente distante nel tempo” ne amplia i confini, senza però definirli, con il rischio di esporla a diverse interpretazioni e quindi a differenti applicazioni regionali?
 
L’estrapolazione terapeutica. C’è poi un altro punto caldo che chiama in causa i professionisti: quello dell’estrapolazione terapeutica, vale a dire sulla possibilità che un farmaco possa essere utilizzato per più indicazioni terapeutiche. Sulla questione si è pronunciata l’Ema stabilendo che: “Nel caso in cui il farmaco originatore sia autorizzato per più di una indicazione, l’efficacia e la sicurezza del farmaco biosimilare devono essere confermate o, se necessario, dimostrate separatamente per ogni singola indicazione. In taluni casi può essere possibile estrapolare la somiglianza terapeutica dimostrata in un’indicazione ad altre indicazioni autorizzate per il medicinale di riferimento… Devono anche essere investigati eventuali problemi di sicurezza in differenti sottopopolazioni”.
Inoltre: “Il Committee for Medicinal Products for Human Use (Chmp) dell’Ema stabilisce caso per caso se le indicazioni multiple possano essere estrapolate sulla base delle evidenze scientifiche derivanti da un esercizio di comparabilità approfondita e in conformità ad opportune giustificazioni scientifiche”.
Ma il problema è che per quanto riguarda alcune aree specialistiche, gastroenterologia e dermatologia in primis, non ci sono ancora dati certi a supporto dell’estrapolazione. E così la palla passa nelle mani del medico che ancora una volta deve prendere decisioni.
 
I cittadini: no alla scelta delle cure su criteri di risparmio. Rimane il fatto che da più parti, anche e soprattutto dai cittadini, arriva un “no” deciso alla tentazione di scegliere le cure su criteri di risparmio economico. L’invito è quello di approvare una norma di rango superiore, valida a livello nazionale, che mantenga saldamente nelle mani del medico la decisione sulla prescrizione dei biologici e dei biosimilari, impedendo lo switch automatico e garantendo la continuità terapeutica ai pazienti.
 
Ogni Regione si muove in ordine sparso. Il quadro fin qui descritto lascia quindi molte questioni aperte, con scenari regionali che, a volte, differiscono notevolmente tra loro.
Ci sono, infatti,  Regioni che hanno emanato linee guida ad hoc, mentre altre come Veneto, Emilia Romagna e Toscana sono entrate ancora di più nello specifico emanando documenti tecnici di valutazione scientifica dei diversi biosimilari. Ma c’è anche una regione, l’Abruzzo, che non ha emanato alcun provvedimento sulla modalità di prescrizione dei biosimilari.

Comunque, in generale, nelle Regioni l’utilizzo del biosimilare è indicato principalmente per i pazienti “drug naive”, e la continuità terapeutica viene generalmente garantita ovunque. Tuttavia in alcune realtà locali è stato sancito che la domanda di continuità̀ terapeutica con il biologico debba essere esplicitamente richiesta dal medico prescrittore e supportata da relazione tecnica.
Paletti rigidissimi sono stati messi in Campania, il diktat è prediligere i farmaci a brevetto scaduto: il biosimilare, a prezzo più basso deve essere la prima scelta per i naive. Si può ricorrere a un altro biosimilare o all’originator solo in caso di documentata inefficacia terapeutica o intolleranza e dietro presentazione alla direzione sanitaria della scheda paziente con motivazioni della scelta. E dipende dalla prescrizione dei biosimilari la valutazione dei dirigenti, come anche l’apertura o chiusura dei centri sanitari.
 
L’approccio economicistico è comunque predominante. E ci sono Regioni che  hanno indicato anche specifici obiettivi di consumo: in Trentino Alto Adige è stato fissato un incremento almeno del 20% per alcune categorie di biosimilari, e in Veneto è stato stabilito che la percentuale di pazienti naive trattati con farmaco biosimilare non deve essere inferiore all’80% (Fonte: Rapporto federalismo Cittadinanzattiva- Tdm).

Ancora, anche sulle procedure di gara assistiamo a delle differenze. Fermo restando che è sempre stata riconosciuta la necessità di preservare la continuità terapeutica e la libertà prescrittiva del medico, le gare hanno previsto due lotti separati (uno per i pazienti naive e uno per i pazienti già in trattamento) oppure un lotto unico (riservandosi di acquistare anche il prodotto non aggiudicatario per la continuità terapeutica).

18 giugno 2014
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