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Speciale ESMO. Nivolumab: tassi di risposta superiori alla chemioterapia nel melanoma in fase avanzata

di Maria Rita Montebelli

Interessanti le performance del nuovo immunoterapico nei trial di fase 3: induce una risposta sostenuta nei pazienti con melanoma in fase avanzata in progressione dopo ipilimumab; buona anche la tollerabilità.

30 SET - Uno studio di fase 3 presentato all’ESMO, che chiude oggi i battenti a Madrid, dimostra che il nivolumab, un nuovo anticorpo monoclonale anti-PD-1, garantisce tassi di risposta e maggior durabilità di risposta rispetto alla chemioterapia standard, nei pazienti con melanoma in fase avanzata che abbiano presentato progressione di malattia dopo trattamento con ipilimumab, il primo immunoterapico utilizzato in terapia oncologica.
 
“Questa categoria di pazienti – spiega Jeffrey Weber, direttore del‘Donald A. Adam’ Comprehensive Melanoma Research Center of Excellence presso il Moffitt Cancer Centre di Tampa (Florida, USA) – hanno scarse opzioni di terapia. Il nivolumab è un farmaco della classe dei ‘checkpoint inhibitor’ che agiscono rimuovendo un ‘freno’, imposto al sistema immunitario dal tumore stesso. Così facendo il farmaco rinforza la risposta immunitaria anti-tumorale e promuove la riduzione della massa tumorale”.
 
In un trial di fase 3 sono stati arruolati 405 pazienti con melanoma metastatico non trattabile chirurgicamente, che avevano mostrato progressione di malattia dopo trattamento con ipilimumab; i pazienti sono stati randomizzati 2:1 al trattamento con nivolumab ev (3 mg/Kg) o ad un regime chemioterapico, scelto dagli sperimentatori tra dacarbazina (1000 mg/m2) e carboplatino+paclitaxel (175 mg/m2).
 
Dati preliminari relativi ad un sotto-gruppo di pazienti trattati con nivolumab mostrano che il nuovo anticorpo monoclonale anti-PD1 presenta un’attività clinica nettamente superiore, con un tasso di risposta del 32% e tossicità minore rispetto al braccio ‘chemioterapia’, il cui tasso di risposta non va oltre l’11%.
Anche la durabilità della risposta è risultata superiore nei soggetti trattati con nivolumab e questo fa presumere che alla conclusione dello studio si arriverà ad un significativo allungamento della PFS e della sopravvivenza complessiva; tra i soggetti in trattamento chemioterapico infine c’è stata un’incidenza del 31% di effetti indesiderati di alto grado correlati al trattamento, contro il 9% di quelli registrati tra i pazienti trattati con nivolumab.
 
“Le differenze nel tasso di risposta e nella tossicità – afferma Weber – fanno nettamente propendere per l’impiego del nivolumab, al posto della chemioterapia, nei soggetti che abbiano mostrato un fallimento nella terapia con ipilimumab”.
 
“Questi risultati – commenta il prof. Olivier Michielin del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Losanna, Svizzera – aggiungono prove ulteriori al fatto che l’inibizione del PD-1 si stia rapidamente imponendo come parte centrale dell’armamentario terapeutico contro il melanoma, rimpiazzando progressivamente la chemioterapia; il nivolumab appare infatti più efficace e meno tossico. Inoltre il blocco del PD-1, contrariamente a quanto tradizionalmente ritenuto per l’immunoterapia, è in grado di dare una risposta rapida e importante anche in presenza di malattia in fase avanzata e di una grande massa tumorale. Questo apre nuove prospettive al ruolo dell’immunoterapia nel melanoma in stadio IV”.
 
Maria Rita Montebelli

30 settembre 2014
© Riproduzione riservata

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