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La ricerca italiana in ambito biomedico: 34 giovani d'eccellenza a confronto

di Edoardo Stucchi

Seconda edizione del "Novartis BioCamp Italia". I giovani hanno interagito con tutti gli attori impegnati, con ruoli diversi, nella crescita ed evoluzione della ricerca italiana. Nell’incontro sono stati sottolineati i risultati, non di rado eccezionali, che si possono ottenere sul fronte terapeutico attraverso una collaborazione strutturata tra università e aziende farmaceutiche.

16 DIC - Simona Pace, 26 anni, laureata con 110 e lode in farmacia all’Università Federico II di Napoli , è un giovane cervello in fuga, prima ancora di trovare una sistemazione come ricercatrice in Italia. Se vincerà il concorso di BioCamp Novartis, in corso in questi giorni all’Istituto Humanitas di Rozzano, il suo progetto di ricerca sarà presentato a un congresso internazionale o farà parte di una pubblicazione di pari grado. E’ l’ennesimo esempio di una politica che non favorisce l’inserimento dei giovani nella ricerca di base, anche se, come riferisce il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, sono previsti 136 milioni di euro per la ricerca finalizzata e altri 60 milioni sono destinati ai giovani ricercatori sotto i 40 anni. “A tutti i ricercatori che partecipano al Bio Camp – ha fatto sapere il ministro – dico che la ricerca è io nostro petrolio e non deve essere considerato un costo per il sistema economico nazionale”.

Cervelli in fuga - Purtroppo parole e investimenti non convincono i giovani di oggi e la nostra giovane ricercatrice è pronta per andare in Germania. La sua tesi di laurea è risultata vincitrice del premio Giovanni Guacci e dopo l’abilitazione alla professione di Farmacista in Gennaio ha ottenuto una borsa di studio per il Dottorato di Ricerca in: “Scienza del Farmaco XXVII ciclo”. Da Ottobre 2013 a Ottobre 2014 ha frequentato come “ Guest Scientist” I laboratori del Professor Oliver Werz dell’ Università di Jena, in Germania e da Marzo 2015 sfrutterà un contratto Post-Doc di quattro anni presso gli stessi laboratori.
Perché, nonostante le difficoltà del settore ha scelto la ricerca? “La ricerca è la mia sfida quotidiana – dice la giovane farmacista - e con lei non mi annoi mai. Durante la mia tesi ho lavorato su molecole con potenziale attività antitumorale (con particolare riguardo al tumore del colon) e nel corso del mio dottorato ho studiato la differenza di sesso nella biosintesi degli eicosanoidi (molecole che sono alla base di patologie infiammatorie e immunitarie aprendo, quindi, la possibilità di una terapia personalizzata per l’uomo e la donna). Il mio progetto Post- Doc coinvolge entrambe gli aspetti: tumore e immunità. La cosa che più di tutte mi piace del mio lavoro è la libertà che ti regala nell’ideare progetti, metterli in pratica e lottare per l’ottenimento di un risultato”.
Con lei altri 33 laureati nelle facoltà scientifiche partecipano al corso di 3 giorni della seconda edizione del Novartis BioCamp Italia, esclusivo workshop riservato a 34 giovani ricercatori italiani impegnati in ambito biomedico. Il seminario, per la prima volta svolto in collaborazione con l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, approfondisce le tematiche più attuali della ricerca biotecnologica, focalizzando l’attenzione sia sugli aspetti scientifici sia sugli sviluppi in senso imprenditoriale dell’innovazione in questo settore.

Il Bio Camp - La formula della tre giorni di studio e confronto del Novartis BioCamp si basa sul coinvolgimento diretto di tutti gli attori impegnati, con ruoli diversi, nella crescita ed evoluzione della ricerca italiana: istituzioni, università, industria privata. Sull’esigenza e sui vantaggi di una sempre più stretta cooperazione tra questi attori si è concentrata l’attenzione nel corso di un incontro con la stampa organizzato presso la sede di Humanitas a margine del BioCamp.
Nell’incontro si sono sottolineati in particolare i risultati, non di rado eccezionali, che si possono ottenere sul fronte terapeutico attraverso una collaborazione strutturata tra università e aziende farmaceutiche. “Un esempio eclatante e molto attuale riguarda l’applicazione delle terapie cellulari nella lotta ad alcune forme di leucemia - ha detto Gaia Panina, Chief Scientific Officer di Novartis Farma -. La collaborazione tra Novartis e la Perelman School of Medicine della University of Pennsylvania ha permesso lo sviluppo, attraverso una tecnologia estremamente innovativa, di una terapia che, secondo uno studio reso noto proprio in questi giorni, è in grado di trattare in modo risolutivo il 92% dei casi la leucemia linfoblastica acuta nei bambini che ne sono affetti. Esempi come questo – prosegue Panina – ci confermano che la partnership con le realtà universitarie d’eccellenza è per Novartis la strada giusta per sostenere l’innovazione. Il lavoro congiunto con Humanitas per il BioCamp è un virtuoso esempio destinato ad una collaborazione più ampia sia in ambito scientifico sia formativo”.

Chi rientra - Ma per una ricercatrice che se ne va, ce n’è una che rientra. E’ Anna Ruocco, laureata in biotecnologie mediche all’Università federico II di Napoli, con dottorato in medicina molecolare alla European school of molecular nmedicine. E’ stata Visiting Ph student all’Harward medical school di Boston e ora è post doctor al CEINGE biotecnologie di Napoli. “La soddisfazione di questo Bio Camp mi ha fatto sentire orgogliosa di essere italiana – ha detto – ed è giusto che torni nel Paese che mi ha fatto studiare. Sono stata quindi in fuga, ma mi è servito per conoscere la realtà straniera e certamente è un modo diverso di lavorare. Ma ora torno con impegno per portare avanti non soltanto la mia ricerca, ma anche le forme di collaborazione e comunicazione con i compagni di studio e con le Istituzioni”.

Ricerca e competizione - Soddisfazioni anche da parte dell’istituto ospitante il Camp: “La reale valorizzazione di questi talenti, a beneficio del paese, può avvenire solo favorendo un trasferimento più efficace e fluido tra ricerca di base e ricerca applicata - ha osservato Alberto Mantovani, direttore Scientifico dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas e docente di Humanitas University - .Se guardiamo i dati a livello europeo, le regioni italiane più avanzate, come la Lombardia, hanno una produttività scientifica in ricerca di base simile a quella di altre regioni chiave, come la Baviera, la Catalogna, l’Ile de France. Ma poi da noi manca appunto la capacità e la possibilità di operare il trasferimento tra ricerca di base e applicata. Il collo di bottiglia tra questi due ambiti è troppo stretto. Da questa situazione è possibile uscire collaborando in modo virtuoso con l’Industria. Così come auspichiamo fare con Novartis”.

Pubblico-privato - Dalle istituzioni sembra provenire una prima concreta risposta a quest’esigenza di maggiore scambio e integrazione tra pubblico e privato. “La creazione di una stabile architettura di collaborazione pubblico-privato tra sistema della ricerca e imprese è tra le priorità del MIUR - ha confermato Mario Calderini, consigliere per le politiche di ricerca e innovazione presso il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca nel presentare il Programma Nazionale per la Ricerca, in corso di completamento - Programma realizzato in collaborazione tra il MIUR e Confindustria, che per la prima volta ha un orizzonte temporale di sette anni dal 2014-2020 ed è già in fase molto avanzata di definizione”.

Un fortunato - Tra le difficoltà dei ricercatori, una posizione più esaltante, quella di Andrea Ponzetta, di casa all’Humanitas. “Ho scelto di intraprendere la carriera da ricercatore nel campo delle biotecnologie alla fine del liceo - ha detto - in realtà ancora largamente inconsapevole di tutte le implicazioni connesse con questo percorso, perchè, come molti colleghi, ero incuriosito dalle enormi potenzialità che questo settore evocava (ed evoca tuttora). Prima ancora di discutere la tesi di laurea, a 25 anni ho sostenuto il concorso di dottorato in immunologia sempre all’università di Roma, entrando nel gruppo di una delle più importanti scienziate italiane a livello internazionale nel campo dell’immunità innata, la professoressa Angela Santoni. Dopo la tesi di dottorato nel febbraio 2014 mi sono trasferito a Milano, per lavorare all’Istituto Clinico Humanitas, diretto dal Professor Mantovani, un gigante dell’immunologia mondiale. Ho fatto colloqui con capi laboratorio di varie parti del mondo (Australia, Singapore, US), ma ho scelto di lavorare a Milano, in un istituto all’avanguardia a livello europeo. Tuttora lavoro come postdoc in un progetto che studia il ruolo dei neutrofili (un’altra cellula dell’immunità innata) nei tumori solidi, e recentemente ho vinto una fellowship FIRC (Fondazione italiana ricerca sul cancro) che mi supporterà fino al 2018”.

Edoardo Stucchi

16 dicembre 2014
© Riproduzione riservata

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