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Cefalea cronica. Un nuovo percorso terapeutico a "4 livelli". Migliora diagnosi e assistenza


Un gruppo di lavoro indipendente ha lavorato alla stesura di un nuovo PDTA, in sperimentazionein alcune realtà sanitarie del Lazio. Previsti 4 livelli di assistenza (2 territoriali e 2 ospedalieri). Si inizia con un colloquio medico-paziente da cui si trae il protocollo migliore per combattere questa malattia invalidante troppo spesso sottovalutata. 

19 DIC - Secondo il report pubblicato da Lancet nel 2012 Global Burden of Disease che fotografava la salute della popolazione mondiale, la cefalea nelle sue varie forme interessava ben il 14,7% della popolazione italiana con un costo di 838 euro l’anno per ogni paziente che ne soffre in maniera episodica che arrivano a oltre 2800 euro per i soggetti cronici. Eppure la constatazione del dolore e della cefalea come problema primario che influisce sulla qualità di vita dei pazienti e sui costi sociali è abbastanza recente. Al contrario di altri pazienti che hanno tra i loro sintomi principali il dolore, gli emicranici sono sempre stati considerati ‘pazienti marginali’ e solo nel 2010 finalmente la legge 38 ("Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore"), inserisce le cefalee nel grande capitolo del dolore non oncologico (che interessa solo il 7% del dolore di tutte le patologie). Una rivoluzione concettuale, avanzata anche rispetto al resto dell’Unione Europea, che influisce immediatamente anche sull’organizzazione dei servizi e l’accesso alle cure dei malati.

Una organizzazione che si traduce in una necessaria razionalizzazione delle risorse economiche e che garantisce ai pazienti di essere diagnosticati tempestivamente e trattati nella maniera più adeguata a seconda delle necessità del singolo caso. I Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (PDTA) sono gli strumenti che permettono di creare un percorso virtuoso e razionale per tutti. Si tratta di un modello organizzativo che parte dal basso e aiuta il medico di medicina generale a fare il primo screening del paziente, valutarne la gravità, la complessità e indirizzarlo al livello specialistico corretto. Un modello di assistenza integrata che vuole dare una risposta tempestiva ai pazienti, evitare il ricorso a indagini improprie e l’accesso spontaneo ai Pronto Soccorso o a strutture di alto livello per i casi meno gravi, con buona pace anche delle liste di attesa che non potranno che beneficiarne.

Nel Lazio un gruppo di esperti si è riunito per oltre un anno per creare un percorso che, se applicato correttamente permetterà un ulteriore benefit: diminuire il rischio di cronicità per tutti quei soggetti con cefalea episodica, oggi abbandonati, consentendo loro una migliore diagnosi e la scelta di terapie più efficaci per le cefalee. Il gruppo di lavoro indipendente, ispirato dalle Società Scientifiche e dalle Associazioni dei Pazienti, ha lavorato alla stesura di un nuovo PDTA, ovvero una presa in carico del paziente e sua gestione globale attraverso un network di centri specializzati per ciascun livello di cura. Il PDTA, presentato al Policlinico il 17 dicembre scorso, è in corso di sperimentazione in alcune strutture sanitarie della Regione Lazio, come spiega la professoressa Rosanna Cerbo, specialista in neurologia e coordinatore del tavolo tecnico sul PDTA: “abbiamo deciso un approccio multidisciplinare con 4 livelli di assistenza: 2 territoriali e 2 ospedalieri. Questo rappresenta una differenza sostanziale rispetto ai PDTA a 3 livelli già recepiti in altre Regioni come l’Emilia Romagna. Il percorso è volutamente semplice e proprio per questo estremamente efficace e parte dalla proposta di 5 domande che permettono di stabilire lo step successivo e il corretto indirizzamento al centro cefalee da parte del medico di medicina generale. Il mini questionario è un adattamento effettuato dalla Prof.ssa Cerbo dell’ ID Migraine di Lipton la cui innovazione è il coinvolgimento dei MMG ed è uno strumento che ha mostrato di migliorare la comunicazione medico-paziente. Il gruppo di lavoro formato da clinici (neurologi, anestesisti, internisti, palliativisti), società scientifiche (SISC, ANIRCEF, Federdolore) , associazioni di pazienti (AIC, LIC), epidemiologi, farmacisti, rappresentanti dell’Ordine dei Medici e manager della sanità pubblica ha lavorato a livello regionale per includere nel processo di cura tutte le figure professionali, includendo la medicina territoriale come prima frontiera e poi aggiungendo sia i neurologi che gli specialisti di Terapia del Dolore. Questo in accordo con la legge 38 che prevede in ogni Regione un gruppo di lavoro che si occupi della corretta applicazione e del funzionamento della norma. 
La cefalea è una patologia complessa e invalidante, un problema che, se non trattato adeguatamente, è destinato alla cronicità. “La cefalea cronica è una condizione in cui il dolore alla testa è presente almeno 15 giorni al mese e risponde ai criteri dell’International Headache Society” spiega il professor Paolo Martelletti, Presidente della Società Italiana per lo Studio delle Cefalee e Direttore dell’U.O. Centro di Riferimento Regionale per le Cefalee dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma “e talora è il risultato di una cefalea primaria non diagnosticata e non trattata adeguatamente. Il mal di testa infatti è considerato un disturbo minore e sino ad oggi godeva di scarsa considerazione”. 

Le cefalee primarie croniche (CPC) interessano il 2% della popolazione ma si pensa che il dato sia sottostimato come precisa Francesco Amato, Presidente di Federdolore “pochi sanno che si tratta della 7ma causa di disabilità nel Mondo, con costi che raggiungono i 3,5 miliardi di dollari l’anno in termini di terapie e costi sociali tra cui assenze dal lavoro e mancata produttività. C’è inoltre una quota sommersa di persone che soffre di emicrania (più del 10% della popolazione) e cefalea tensiva (dal 20 al 30%) e ricorre a terapie da banco e trattamenti fai-da-te, eppure la cefalea cronica è poco considerata dalla medicina territoriale. I trattamenti autogestiti sono pericolosi, i rischi prevedono l’uso improprio dei farmaci, reazioni avverse, tossicità, ma anche abuso sino alla dipendenza. Serve invece un percorso di cura personalizzato e il PDTA rappresentaun elemento di appropriatezza necessario per la complessità del nostro sistema sanitario”.  

19 dicembre 2014
© Riproduzione riservata

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