Big Pharma. Le grandi sfide tra “etica e profitto”
di Massimiliano Abbruzzese
Gli elementi di pregio che il settore del farmaco mette a disposizione del paese sono molti e tutti importanti. Ma urge una considerazione da parte di questi attori "profit" affinché nei loro bilanci, e non ci riferiamo solo a quelli sociali, il benessere equo e sostenibile sia un qualcosa di reale e presente
19 GEN - In questi giorni si susseguono molte riflessioni, giustamente preoccupate, riguardo i fondi a disposizione per gestire una delle voci di costo più importante del nostro sistema sanitario. Parliamo della spesa farmaceutica. Slow Finance, come associazione che segue le dinamiche economico finanziarie del paese, ritiene siano molti i numeri del dibattito che meritano un confronto e, nella speranza di arricchire la discussione, con questo articolo prova a dare il proprio modesto contributo.
Un primo elemento riguarda certamente la soddisfazione nell'apprendere dal Presidente di Farmindustria che
l'occupazione del settore ha avuto un balzo in avanti di 3.000 unità. Erano anni che, nonostante un aumento costante del valore della produzione, passato da 23,769 a 27,611 miliardi di euro tra il 2008 e il 2013, il numero dei lavoratori diminuiva.
Per la precisione, vedi la pubblicazione "Indicatori farmaceutici" del luglio scorso, si è passati dai 69.500 del 2008, anno dell'inizio della crisi economica che ha investito tutto il mondo occidentale, ai 62.300 del 2013. Pertanto, l'aumento del 2014 riporta le lancette indietro di tre anni (65.000), ma ben lontano dai numeri precedenti e soprattutto dal 2006 quando il numero di personale occupato nel settore farmaceutico sfiorava le 75.000 unità.
Ma per le imprese del farmaco questi sono stati anni d'oro anche in borsa. Infatti, come riporta un recente
articolo pubblicato su
Forbes, BigPharma ha ottenuto risultati a dir poco esaltanti. Ecco qualche esempio: Actavis ha avuto un rendimento a cinque anni del 549,9%; Gilead Sciences (detentore del brevetto del Sofosbuvir medicinale per l'eradicazione dell'epatite C), per lo stesso periodo, ha totalizzato un più 335,7%; Novartis deve "accontentarsi" di un più 100%. Si potrebbe andare avanti ancora per un bel pezzo ma i dati non sarebbero molto diversi, anzi (Bristol-Myeers Squibb + 183,1%; Biogen + 534,9%; Novo Nordisk + 253,3%).
Insomma, si può affermare che nonostante la crisi,
l'industria del farmaco, almeno quella dai grandi fatturati, non solo ha superato le traversie ma addirittura è riuscita ad utilizzare il contesto per riorganizzarsi in modo più efficiente. Pensare, dunque, che lo sforamento (che diamo per certo) del tetto programmato per la spesa farmaceutica possa decretare il licenziamento di 20.000 addetti, circa 1/3 del totale, risulta fuori da ogni logica comprensione. In questo contesto si inserisce anche il tema dell'investimento del settore in ricerca e sviluppo.
Anche in questo caso immaginare una forte ripercussione negativa, deve aprire ad una considerazione. Sempre grazie al documento di ricerca di Farmindustria, si scopre come il numero del personale impegnato in R&D nel nostro paese sia nettamente inferiore rispetto a Germania, Francia e Regno Unito e di poco superiore alla Spagna sebbene con un fatturato quasi doppio.
Inoltre, aspetto non secondario è quello della trasparenza. Ad esempio si indicano cifre, relative allo sviluppo di nuovi farmaci, che arrivano a toccare punte di 2,8 miliardi di dollari.
Ebbene, non più tardi di qualche mese fa l'Agenzia Italiana per il Farmaco (AIFA), a firma
Luca Pani, ha pubblicato
un articolo dal titolo: "
Dall’Etica del profitto al profitto dell'Etica: sofosbuvir come esempio di farmaci dal costo insostenibile, una sfida drammatica per i sistemi sanitari e un rischio morale per l’industria".
Il Direttore dell'Aifa denunciava l'impossibilità di conoscere dettagliatamente non solo i costi di R&D, ma anche quelli relativi al marketing ed alla pubblicità chiedendo, inoltre, chiarezza sui potenziali conflitti di interesse sulle Società Scientifiche che raccomandano i farmaci.
Insomma, gli elementi di pregio che il settore del farmaco mette a disposizione del paese sono molti e tutti importanti, ma urge una considerazione da parte di questi attori "profit" affinché nei loro bilanci, e non ci riferiamo solo a quelli sociali, il benessere equo e sostenibile sia un qualcosa di reale e presente.
Massimiliano Abbruzzese
Vicepresidente Associazione Slow Finance
19 gennaio 2015
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