La pasta senza glutine entra nel paniere Istat 2015. E i medici? Anche loro devono “aggiornare” l’approccio
di Carolina Ciacci
Recepita una nuova tendenza alimentare che non riguarda da qualche tempo solo i celiaci. La comunità medica è chiamata ad affrontare il problema di una dieta seguita, al momento, senza evidenza relazione causa-effetto. Che non è solo costosa in termini economici ma anche personali perché limita molto la vita sociale di chi la segue
04 FEB - L'Istat ha deciso di inserire anche la pasta senza glutine nel suo "paniere" 2015, cioè nell’elenco dei cibi usati come indicatori dell’inflazione. Il paniere registra molto prontamente un trend che ‘costa’ a molti italiani. In Italia, come nel resto del mondo,
persone che non hanno la celiachia hanno tolto dalla loro dieta il glutine, e quindi soprattutto il frumento, e comprano la pasta e il pane senza glutine. Tra i tanti anche atleti che riferiscono che a
gluten-free la loro performance sia migliorata, ma anche persone affette da quella che prima era definita come la sindrome del colon irritabile Per questa condizione si è coniato il termine un po’ complicato di ‘
sensibilità al glutine di tipo non celiaca’ proprio per distinguerla dalla celiachia. Per quelli che lo fanno nel nostro Paese, rinunciare a pasta e pane è un grande sacrificio. Chi lo fa lo fa nella convinzione e percezione di stare meglio. Ma è così?
Per lo più di tratta di una dieta autoprescritta e mantenuta per il ridursi o addirittura la scomparsa dei sintomi soprattutto gastrointestinali, quindi sembrerebbe che un fondamento ci sia.
C’è una grande differenza tra i celiaci ed i sensibili. Nei celiaci, geneticamente predisposti l’intolleranza al glutine si manifesta con sintomi di variabile entità, con la presenza di anticorpi specifici nel sangue e un danno alla mucosa intestinale. Un certificato che attesta la celiachia permette loro di approvvigionarsi di cibi senza glutine sotto la copertura del SSN. Nei pazienti
sensibili invece, ad oggi non si è trovata alcuna specifica anomalia in relazione al glutine. Non hanno quindi certificazione e comprano il costoso
gluten-free. Spesso queste persone non tollerano anche altri cibi come il latte, i suoi derivati, alcune verdure e alcuni tipi di frutta. In sintesi,
i sensibili seguono talora una dieta limitata con notevoli ripercussioni sociali. Recentemente ricercatori australiani hanno dimostrato che nei pazienti non celiaci ma che si ritengono
sensibili al glutine i sintomi si riducono con una dieta senza non solo senza glutine ma anche senza latte, legumi, frutta e verdure, cioè cibi che contengono zuccheri fermentabili (acronimo in inglese: FODMAPs) dai batteri del colon che producono il gas intestinale e i sintomi.
Nel corso della dieta con pochi FODMAPs se si aggiungeva alla dieta del glutine puro non si registrava però alcun peggioramento dei sintomi rispetto al placebo. Nello studio si è poi dimostrato un importante effetto
nocebo sui sintomi, cioè che la sola idea di assumere potenzialmente glutine causava sintomi più intensi all’inizio di ogni trattamento (sia per il glutine che per il placebo), effetto che spariva poi con l’abitudine, nel corso dei giorni.
Questa dieta con riduzione cibi
fermentanti non è affatto nuova. E’ nell’esperienza di tutti che chi ha la sindrome del colon irritabile in maniera continua o saltuaria pratica restrizioni dietetiche per stare meglio.
Ma perché allora sempre più sentiamo definire questa sensibilità come strettamente collegata al solo glutine? Ci sono diversi fattori che hanno contribuito a questa confusione. Il primo è che la celiachia è diventata una condizione comune e ben riconosciuta nella società. Le storie di celiaci che per anni hanno sofferto senza ricevere una diagnosi e che con la dieta senza glutine rinascono colpiscono coloro che hanno capricciosi sintomi addominali curati con poca soddisfazione dalla medicina tradizionale. Così si tenta la dieta, spontaneamente o supportati da fantasiosi test per
intolleranza alimentare per i quali , tra tanti alimenti da evitare, c’è sempre il glutine
. A dieta senza glutine non si mangia più pasta, pane, pizza, dolci e tutto ciò che essi, a parte il glutine, contengono. Si mangia meno cibi contenenti FODMAPs, quindi meno carboidrati, latte e derivati , ci si ‘sgonfia’ come dicono i nostri pazienti. Il più delle volte si dimagrisce.
Poi ci sono le industrie del senza glutine.Fatturati da capogiro, quotazioni in borsa e ben costruite campagne di marketing. Se i celiaci sono l’1% della popolazione i non-celiaci con la
sensibiltà sarebbero, per i media che riportano cifre niente affatto confermate da studi epidemiologici, anche 5-6 volte di più. Un moltiplicarsi di vendite di prodotti ancora carissimi sul mercato italiano.
Comunque sia, il numero di persone a dieta senza glutine sta aumentando in maniera esponenziale e la comunità medica è chiamata ad affrontare il problemadi una dieta seguita, al momento, senza evidenza relazione causa-effetto e che non è solo costosa in termini economici ma anche personali perché limita molto la vita sociale di chi la segue. I
sensibili riferiscono spesso che alla minima introduzione di glutine i sintomi prontamente ricompaiano (effetto
nocebo?) e quindi evitano ristoranti, mense e cene con amici per paura di possibile contaminazione. Per ora non abbiamo dati sull’impatto a lungo andare in termini di salute fisica e psichica ( e di economia) di una dieta senza glutine nel non celiaco.
E allora, cosa consigliare?
Nell’attesa che ci siano dati certi dalla ricerca è meglio seguire tutti un protocollo di sicurezza. Per prima cosa dobbiamo invitare i nostri pazienti
a fare i test per la celiachia (un prelievo, anticorpi antitransglutaminasi IgA e immunoglobuline IgA)
prima di iniziare qualunque tipo di dieta o dopo aver ben reintrodotto il frumento nella loro dieta. Questo è fondamentale per escludere con ragionevolezza la celiachia perché tolto il glutine dalla dieta progressivamente gli anticorpi eventualmente presenti nel siero scompaiono e non potremmo più fare la diagnosi. Poi consiglierei di inviare i
sensibili al centro di riferimento per celiachia più vicino per eseguire le indagini di secondo livello e se è il caso, una dieta a basso contenuto di FODMAPs che non è mai tanto costosa in tutti i sensi come una dieta senza glutine.
Se poi i nostri pazienti non celiaci ma
sensibili sono irriducibili e non desiderano affatto tornare a dieta libera, perché i sintomi costano loro più delle limitazioni (e sono tanti) allora assicuriamoci che la dieta sia bilanciata e soprattutto rassicuriamoli sul fatto che, al momento, per loro non ci sono evidenze di danni organici legati all’assunzione di glutine né di rischi futuri.
Prof. Carolina Ciacci
Gastroenterologia Università di Salerno
04 febbraio 2015
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