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Cancro al seno. Donne ad ‘alto rischio’. Risonanza magnetica potrebbe migliorare prevenzione 

di Viola Rita

In aggiunta alla mammografia annuale di routine, l'imaging a risonanza magnetica MRI potrebbe aiutare i medici nella scelta dell'approccio preventivo migliore, verso una medicina sempre più personalizzata. In particolare, il parametro BPE, valutato tramite MRI, è stato associato ad un maggior rischio della comparsa della malattia. Ora necessari altri studi per confermare il risultato. Lo studio su Radiology

12 MAG - La risonanza magnetica per imaging (MRI) può rappresentare uno strumento utile per migliorare la previsione del rischio di tumore al seno, nelle donne ad ‘alto rischio’ (cioè in presenza di storia familiare di questo tumore, mutazioni genetiche o altro). Lo afferma uno studio condotto dalla Radiological Society of North America (RSNA**), e pubblicato sulla rivista Radiology. La ricerca illustra i potenziali vantaggi, in determinati casi, dell’utilizzo di questa analisi, in aggiunta alla mammografia annuale di routine. Il tutto all’interno di un approccio sempre più personalizzato per il controllo e la prevenzione del cancro alla mammella.
 
In generale, spiegano i ricercatori, l’analisi di risonanza magnetica rappresenta uno strumento che viene già utilizzato in donne che presentano un alto rischio a causa di una storia familiare di questa malattia: le linee guida dell’American Cancer Society raccomandano uno screening annuale mediante MRI in aggiunta alla mammografia di routine alle persone che presentano una percentuale di rischio di sviluppare il cancro al seno del 20% superiore rispetto alla media.
Inoltre, in alcuni studi precedenti, la densità del tessuto mammario, la struttura che contiene la maggior parte di tessuto fibroghiandolare rispetto al tessuto grasso, è stato collegato con un probabile aumento dello sviluppo del tumore del seno.
“Risulta complesso valutare il rischio futuro di cancro del seno per la donna, così un forte interesse da parte dell’oncologia è rivolto all’identificazione di strade per determinare meglio questo rischio”, ha spiegato il coautore Habib Rahbar, M.D., esperto di imaging della ghiandola mammaria al Seattle Cancer Care Alliance ed assistant professor presso la University of Washington. "Mentre la densità della mammella è scarsamente associata con il rischio di sviluppare il tumore, non è chiaro se questa o altre strategie di imaging possano migliorare gli attuali metodi di valutazione del rischio”.
 
Nella ricerca odierna, il Dottor Rahbar e i colleghi hanno preso in considerazione immagini di risonanza magnetica di donne dai 18 anni in su con alto rischio di tumore al seno, che si sono sottoposte a screening nel periodo tra gennaio 2006 e dicembre 2011.
I ricercatori hanno analizzato alcuni parametri, tra cui la densità della mammella e il BPE (background parenchymal enhancement – ‘aumento del background parenchimale’, dove il tessuto parenchimale è quello che compone l’organo). Il BPE individua un fenomeno, visibile tramite risonanza magnetica,  in cui aree del normale background del tessuto della mammella appaio bianche o aumentate. Precedenti studi hanno suggerito una possibile associazione tra questo fenomeno e il rischio di cancro al seno.
 
In base ai risultati dello studio odierno, le donne con un più alto valore di BPE, rilevato tramite risonanza magnetica, mostravano una probabilità di avere una diagnosi di cancro al seno nove volte superiore rispetto a quelle in cui il BPE era assente o assumeva valori minimi. Al contrario, la densità mammografica non mostrava una relazione significativa rispetto al rischio di cancro al seno, affermano gli autori. “La risonanza magnetica MRI potrebbe essere utilizzata in un più ampio numero di donne per determinare quelle che necessitano di uno screening aggiuntivo sulla base dei livelli di BPE”, ha detto Rahbar. “Questa possibilità risulta importante dato che stiamo andando verso un’era in cui la medicina è più personalizzata”.
Attualmente, spiegano i ricercatori, le donne ad alto rischio di questa malattia hanno diverse possibilità: dall’utilizzo combinato della mammografia insieme alla risonanza MRI alla terapia preventiva con tamoxifene, un farmaco che blocca l’attività degli estrogeni nella mammella, fino alla mastectomia preventiva. Se validato da studi più ampi, dichiarano i ricercatori, il BPE potrebbe fornire ulteriori informazioni utili nella scelta dell’approccio migliore, aiutando i medici a personalizzare lo screening e la gestione delle strategie terapeutiche in base alla valutazione del rischio individuale.
 
Il prossimo passo dei ricercatori sarà quello di verificare il risultato odierno in uno studio che coinvolga un più ampio numero di pazienti e cercare di comprendere il meccanismo per il quale il parametro BPE risulta essere un biomarcatore per il tumore al seno: secondo un’ipotesi, questo parametro è legato alle aree di infiammazione che si manifestano nelle prime fasi della malattia.
"Il cancro al seno ha bisogno di un ambiente ‘favorevole’ per crescere”, conclude il dottor Rahbar, “e una recente ricerca suggerisce che le aree di infiammazione sono particolarmente adatte a tale crescita”.
 
Viola Rita
 
*H. Rahbar, B. N. Dontchos et al., "Are Qualitative Assessments of Background Parenchymal Enhancement, Amount of Fibroglandular Tissue on MR Images, and Mammographic Density Associated with Breast Cancer Risk?", Radiology
**RSNA è un’associazione che comprende più di 54mila esperti tra radiologi, radio-oncologi, fisici medici e scienziati di questo settore medico, con sede a Oak Brook, Illinois, Stati Uniti.
***Lo studio è stato finanziato dai grant della International Society for Magnetic Resonance in Medicine e dei National Institutes of Health


12 maggio 2015
© Riproduzione riservata

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