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Epatite C. La voce dei pazienti. Gardini (EpaC): “Serve un piano nazionale di eradicazione e quindi dare accesso a tutti, nessuno escluso”

di Ivan Gardini

Per una volta che abbiamo l’opportunità di sconfiggere definitivamente una malattia infettiva trasmissibile, si iniziano a porre dei dubbi sulla utilità di fare ciò. Non ha senso  e non possiamo, neppure per un nanosecondo, dubitare sulla opportunità e necessità di curare le infezioni virali trasmissibili a causa di un presunto impatto economico insostenibile

31 MAG - Gentile direttore,
mai come in questo periodo stiamo assistendo a un dibattito così acceso e appassionato sull’epatite C. Leggiamo affermazioni condivisibili, altre molto meno. In qualità di presidente di EpaC onlus, la più rappresentativa dei pazienti malati di epatite C, sento il dovere di farmi portavoce dei malati che chiamano ininterrottamente i nostri uffici, e ci raccontano le loro preoccupazioni, esigenze, problematiche. In particolare vorrei portare la voce di quell’esercito di pazienti esclusi dai nuovi trattamenti anti epatite C. I cosiddetti pazienti con malattia lieve o moderata.
Stiamo notando che il dibattito si sta focalizzando unicamente sull’aspetto clinico della malattia e si sta mettendo in dubbio la validità di una eradicazione di massa.
 
Di più. In nome della scienza, si sta cercando di banalizzare la “semplice infezione” da cui deriva un “danno epatico lieve”, quasi fosse un raffreddore il cui impatto clinico è pari a zero.
 
Tutti, e dico tutti, si stanno dimenticando dell’impatto sociale della malattia indipendentemente dalla gravità epatica presente e nessuno prende in considerazione le limitazioni, rinunce, angosce che la sola presenza dell’infezione da HCV procura al singolo paziente. Stiamo parlando delle problematiche in ambito lavorativo, sessuale, sentimentale, sociale, familiare.
 
Ricordiamo sempre che stiamo parlando di una malattia infettiva trasmissibile, e solo questo fatto preclude al paziente di vivere una vita serena. Ricordiamoci sempre che le malattie infettive trasmissibili generano stigma e discriminazione, esattamente come è successo e succede con l’HIV.
 
Noi di EpaC ne sappiamo qualcosa. Sono innumerevoli le storie di pazienti che ci hanno raccontato di essere stati licenziati, con una scusa o l’altra, dopo che la loro sieropositività era stata scoperta; oppure di famiglie che si sono polverizzate perché il partner sano non sopportava l’idea di convivere con un partner infetto; oppure di persone che rinunciano a socializzare o allacciare rapporti sentimentali perché non se la sentono di rivelare la loro sieropositività.
 
L’ultima testimonianza ci è giunta proprio ieri. Un cittadino Italiano, andato a lavorare in Azerbaigian è stato espulso da quel paese perché trovato positivo al virus HCV. Tornato in Italia, è stato scaricato anche dalla ditta per cui lavorava. Ora è senza lavoro.
La vera e cruda realtà è che il malato di epatite C deve fare rinunce anche importanti, che possono cambiare in peggio il corso della propria esistenza, deve nascondersi o dire bugie per il timore di ripercussioni, qualsiasi esse siano. A nessuno piacerebbe vivere così, e pure con l’incubo che la malattia si aggravi.
 
Vogliamo dire a queste decine di migliaia di cittadini italiani che non curiamo la loro infezione perché la loro malattia è clinicamente insignificante?
Non scherziamo. Dobbiamo ragionare a 360 gradi e valutare il benessere procurato curando ogni singolo cittadino con epatite C. 
 
Dobbiamo prendere in esame il notevole miglioramento nella qualità di vita di un paziente guarito, che produce un individuo più sano, più felice, più produttivo. Questo è lo scopo della Sanità pubblica e che ogni decisore dovrebbe perseguire: procurare benessere concreto e misurabile attraverso ogni atto medico idoneo.
 
Non solo: ci risulta che l’Italia aderisca a tutti i piani dell’Unione Europea sulla lotta alla diffusione delle malattie infettive trasmissibili. Per una volta che abbiamo l’opportunità di sconfiggere definitivamente una malattia infettiva trasmissibile, si iniziano a porre dei dubbi sulla utilità di fare ciò. Non ha senso.
 
Non possiamo, neppure per un nanosecondo, dubitare sulla opportunità e necessità di curare le infezioni virali trasmissibili a causa di un presunto impatto economico insostenibile. Sono due cose diverse e vanno valutate e affrontate in modo diverso.
Ricordiamoci un’altra cosa. I cittadini con epatite C sono, come tutti noi, persone che pagano fior di tributi per sostenere il Sistema Sanitario Nazionale e molti di essi sono anche stati contagiati con trasfusioni di sangue infetto e non si può non tenerne conto.
 
Esiste un diritto alla miglior cura. Esistono degli equilibri basati sul dare-avere che regolano il rapporto tra stato e cittadino e le ribellioni hanno luogo quando questo rapporto viene alterato.
Sempre più spesso, riceviamo in Associazione proteste di pazienti che non possono accedere ai farmaci, e ci fanno una domanda tanto semplice quanto banale: Vi pare giusto che la mia condizione di salute si debba aggravare per potermi curare con farmaci innovativi, sicuri, e con pochi effetti collaterali?
Sfidiamo chiunque a pronunciare le parole “Si, è giusto.”
 
No, non è giusto, né scientificamente, eticamente, socialmente sostenibile. Tanto prima si cura una infezione o malattia, tanto meglio è, da qualunque punto di vista la vogliamo vedere. Siamo stati allevati a pane e prevenzione, non facciamo l’errore di inciampare sull’epatite C.
Dobbiamo essere attenti e riuscire a separare nettamente il diritto alla cura, il benessere procurato e misurabile, dal costo dell’investimento necessario.
 
Se vogliamo spendere due parole sui costi facciamolo. Perché ci risulta molto difficile fare dei calcoli precisi sul reale costo dei farmaci, considerato che solo una manciata di persone conosce i dettagli dei contratti stipulati con le aziende farmaceutiche. Inoltre ci è stato spiegato recentemente dal Prof. Mennini, che curando i pazienti si possono produrre risparmi per svariate centinaia di milioni di euro. Cosa che non succede in altre patologie croniche dove ogni anno bisogna mettere a budget cifre ragguardevoli, superiori a quanto sinora stanziato per la cura dei malati di epatite C. Serve un investimento? D’accordo, stabiliamo quanto e lo si diluisce in un arco di tempo ragionevole.
 
Come associazione, abbiamo responsabilmente aderito ai criteri proposti da AIFA per curare inizialmente i pazienti più gravi, ma abbiamo anche detto che, nel momento che tutti i farmaci fossero disponibili sul mercato, si sarebbe dovuto pensare ad un piano nazionale di eradicazione e quindi dare accesso a tutti, nessuno escluso.
 
Questo non significa poter curare tutti e subito. Non è possibile per il semplice fatto che gli attuali 321 reparti autorizzati alla prescrizione dei nuovi farmaci non ce la possono fare a curare una enorme quantità di persone in un anno o due. Ma un conto è dire “caro paziente, non puoi essere curato”, un altro è dire “puoi essere curato ma aspetta il tuo turno. Curiamo prima i più gravi.”
Certo, per fare questo, bisogna risolvere una volta per tutte il nodo delle risorse.
 
Presto presenteremo al Ministro della Salute ed al Governo una proposta che va in questa direzione poiché solo il Governo può decidere di stanziare le risorse necessarie per un piano di investimento in salute così ambizioso e lavoreremo affinché la cura per tutti i pazienti sia inserita nell’agenda della prossima legge di stabilità. Senza pretendere di avere la verità in tasca, ci auguriamo di avere spiegato le nostre ragioni e aspettative.
 
Ivan Gardini
Presidente Associazione EpaC onlus

31 maggio 2015
© Riproduzione riservata

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