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Epatite C. Si va all’estero per comprare i nuovi farmaci. Ci sono andati almeno 1.000 malati italiani


Secondo una recente indagine su 86 centri autorizzati alla prescrizione dei nuovi farmaci per la cura dell’epatite C - spiega Ivan Gardini, presidente di Epac Onlus – risulta che circa 500 italiani sono andati in India ad acquistare i farmaci equivalenti ma se consideriamo anche quanti non lo dichiarano, ne stimiamo oltre un migliaio. Le associazioni dei pazienti chiedono l’attenzione delle istituzioni: tutti i malati dovrebbero accedere alle cure allo stesso modo. 

29 NOV - C’è chi va addirittura fino in India per acquistare i nuovi farmaci per la cura dell’epatite C. Eppure tutti i malati hanno il diritto di accedere alle terapie adeguate e nessuno dovrebbe dover oltrepassare i confini italiani per curarsi in modo più veloce e democratico. E’ questo il grido di allarme lanciato dalle associazioni dei pazienti affetti da patologie epatiche per richiamare l’attenzione delle istituzioni.
 
“Secondo una recente indagine su 86 centri autorizzati alla prescrizione dei nuovi farmaci per la cura dell’epatite C - spiega Ivan Gardini, presidente di Epac Onlusrisulta che circa 500 italiani sono andati in India ad acquistare i farmaci equivalenti ma se consideriamo anche quanti non lo dichiarano, ne stimiamo oltre un migliaio. I pazienti acquistano i farmaci all’estero perché si sentono in un vicolo cieco, nessuno è in grado di poter dire quando saranno curati”.
 
Un appello che si inserisce in una campagna di sensibilizzazione sull’HCV, nata nel 2014, e che da oggi diventa una vera e propria ‘rete’ di condivisione tra malati e istituzioni.L’iniziativa è realizzata da numerose associazioni tra cui Aned (Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto),Epac(Pazienti con epatite e malattie del fegato),FedEmo (Federazione Associazioni Emofilici),L'Isola di Arran(Associazione impegnata nella lotta all'emarginazione legata alla droga),Nadir(Pazienti con HIV) e Plus(Persone LGBT Sieropositive).
 
Risale a circa due anni fa l’arrivo, in Italia, del primo farmaco innovativo anti-HCV in grado di combattere il virus. Gli altissimi prezzi inizialmente previsti dalle aziende (circa 70mila euro a trattamento), hanno portato la classe politica a prevederne l’utilizzo solo per casi di pazienti con fibrosi in stato avanzato (3 e 4).
“Fare una programmazione senza limitazioni di accesso significa  - spiega Ivan Gardini- poter dire a queste persone quando saranno curate e fa una differenza enorme. Ad oggi ne curiamo circa 30mila l’anno e con gli 1,5 miliardi spalmati in un triennio previsti in legge di Bilancio, anche il Ministro Lorenzin si è posta l’obiettivo  di voler curare 50.000 pazienti l’anno: questo potrebbe far sì che possano cadere le barriere di accesso, e restare comunque nei limiti del budget annuale stanziato prevedendo delle priorità di cura”.
 
L'epatite C colpisce circa l’1,1% della popolazione mondiale e 80 milioni sono gli individui infetti.  A questi si aggiungono circa 1.2 milioni di nuove diagnosi ogni anno, cui potrebbero aggiungersi ulteriori 1.6 milioni di nuove infezioni non diagnosticate. In Italia la percentuale di infetti non è nota ma si stima che le diagnosi siano circa 300mila, i nuovi casi sono circa 1.200 ogni anno. L’Italia ha il triste primato in Europa per numero di soggetti HCV positivi ed è per questo che iniziative come “Senza la C” risultano quanto mai urgenti.
 
 Il progetto è sostenuto anchedalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit):l’ampliamento dei criteri di accesso alle cure  - ha concluso il Presidente Antonio Chirianni- rappresenta un investimento i cui risparmi si vedranno nel lungo termine. I pazienti che eliminano il virus, non solo non sono costretti ad assumere farmaci a vita, ma ricorreranno molto meno agli ambulatori e ai ricoveri (anche per trapianti), con conseguenti risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale".
 

29 novembre 2016
© Riproduzione riservata

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