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Bpco. Tagli alle riacutizzazioni con le terapie combinate. Le risposte arrivano dai dati Real world


La Bronco pneumopatia cronica ostruttiva impatta pesantemente sulla qualità della vita dei malati e, nonostante l’elevato tasso di mortalità, spesso i pazienti non aderiscono alle terapie. È questo il caso della Lombardia. Dal Salford Lung Study, pubblicato sul New England Journal of Medicine, sono emersi interessanti dati che potrebbero indirizzare verso una corretta gestione della patologia

20 DIC - È la malattia che mozza il respiro. Nel mondo, colpisce 65 milioni di persone e secondo le stime dell’Oms nel 2030 diventerà la terza causa di morte. Si stima che solo in Italia colpisca bronchi e polmoni di tre milioni di persone, la maggior parte anziani, fragili e con co-morbilità. È la Bronco pneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), una patologia che impatta pesantemente sulla qualità della vita dei malati: le attività quotidiane diventano infatti sempre più difficili a causa della scarsa funzionalità respiratoria determinata dall’ostruzione bronchiale e da un progressivo restringimento delle vie aeree.
 
Chi ne soffre respira infatti con difficoltà, in particolare sotto sforzo, ha tosse e catarro cronici ed è soggetto a frequenti infezioni, perché nei bronchi pieni di muco i batteri si sviluppano a grande velocità. Le cause? Sul banco degli imputati ci sono il fumo di sigaretta, ben nove pazienti su dieci sono fumatori o ex tabagisti, ma anche inquinamento atmosferico, polveri diffuse negli ambienti di lavoro e domestici ed emissioni chimiche. Ma anche l’età gioca un ruolo determinate, la Bpco colpisce il 7% degli over 50 e le percentuali salgono con l’aumentare dell’età: ha un’incidenza dell’11% tra i sessantenni con trend in crescita vertiginosa dopo i 70 anni fino a interessare una persona su due. Anche i costi sono elevati: quello medio annuo di un paziente con Bpco si attesta sui 2.700 euro, il 92% è a carico del Ssn. E il 70% dei costi diretti totali è dovuto all’ospedalizzazione per le riacutizzazioni.
 
Dati che rendono chiaro il quadro di una patologia di approccio complesso, sia dal punto di vista farmaco-terapeutico, consideriamo infatti che dalla Bpco non si guarisce, perché le lesioni all’apparato respiratorio sono generalmente irreversibili, sia da quello gestionale, in quanto è caratterizzata da frequenti riacutizzazioni, accompagnate spesso da ricoveri in ospedale.
 
In Lombardia la Bpco presenta le stesse difficoltà di gestione di molte altre regioni italiane soprattutto per quanto riguarda l’aderenza alle terapie. “In uno studio realizzato qualche anno fa dalla ex Asl Melegnano, ora Ats Milano, la compliance è risultata essere del 14-15% quindi molto bassa, nonostante l’alto tasso di mortalità che interessa la Bpco” ha sottolineato Mario Cavallazzi, Responsabile della Farmacia dell’Ospedale San Donato. “Per cercare di arginare i problemi di aderenza alla terapia e di disinformazione, con il gruppo di pneumologi del Gruppo San Donato stiamo portando avanti degli incontri con i medici di base per puntare ad una diagnosi precoce e soprattutto corretta perché molto spesso si tende a confondere l’asma con la Bpco, e cercare di fare in modo che il paziente venga visto da uno specialista almeno una volta l’anno”.
 
La novità nella terapia farmacologica. Il Salford Lung Study. Oggi è possibile contare su terapie efficaci che consentono al paziente di convivere al meglio con la sua condizione di malato cronico respiratorio. E di ridurre quindi i rischi di riacutizzazioni con conseguenti ricoveri ospedalieri. Nel trattamento della Bpco vengono impiegati broncodilatatori, corticosteroidi per via inalatoria e anticolinergici. Ma ora dal Salford Lung Study, pubblicato sul New England Journal of Medicine nel mese di settembre 2016, emergono dati di real world interessanti in merito all’efficacia e all’appropriatezza delle terapie. Lo studio ha infatti passato al setaccio 2.802 pazienti con Bpco con l’obiettivo di testare l’efficacia e la sicurezza di due farmaci, Fluticasone furoato e Vilanterolo in combinazione, confrontandola con la terapia usuale somministrata nella pratica clinica quotidiana. Non solo, lo studio ha anche monitorato tutti gli accessi in ospedale, le visite ambulatoriali ospedaliere e ai Pronto Soccorsi e considerato i dati rilevati dai Medici Medicina Generale.
 
I pazienti sono stati randomizzati 1 a 1 per ricevere fluticasone furoato e vilanterolo (Ff/Vi) al dosaggio di 100/25mcg - con o senza assunzione di agenti muscarinici a lunga durata d’azione (Lama) - oppure per continuare a ricevere la terapia usuale. I pazienti che assumevano Lama in aggiunta alla terapia di combinazione Ics/Laba (triplice terapia con corticosteroidi inalatori e beta 2-agonisti a lunga durata d’azione), che sono stati randomizzati alla terapia con Ff/Vi, hanno potuto continuare la terapia con Lama in associazione a Ff/Vi. La terapia usuale è stata assunta come prescritta dal medico, e poteva includere broncodilatatori singoli o in associazione, corticosteroidi inalatori da soli o associati a un broncodilatatore a lunga durata d’azione, o in triplice terapia costituita da Lama, Lama e corticosteroide inalatorio.
 
Ma cosa è emerso? Il tasso medio annuo di riacutizzazioni moderate o gravi ha fatto registrare una riduzione statisticamente significativa dell’8,4% nei pazienti che assumevano la combinazione fluticasone furoato/vilanterolo. L’incidenza di eventi avversi seri è risultata simile nei due gruppi (29% nel gruppo Ff/Vi, 27% in quello della terapia usuale). Per quanto riguarda le polmoniti, un evento indesiderato grave di particolare interesse, l’associazione Ff/Vi ha dimostrato la non inferiorità rispetto alla terapia usuale (7% versus 6%). Un endpoint quest’ultimo richiesto come parametro regolatorio di sorveglianza post-marketing dall’Ema. Inoltre, il 45% dei pazienti che ha ricevuto Ff/Vi ha migliorato il punteggio del Copd Assessment Test (Cat), che misura l’impatto della malattia sullo stato di salute e sulla qualità di vita.
 
Il Salford Lung Study “è molto importante – ha aggiunto Cavallazzi – perché realizzato in real word quindi con pazienti reali che magari usano off label, oppure che non fanno una terapia corretta quindi uno studio molto diverso dalla classica ricerca registrativa con un panel di pazienti controllato”. Dello stesso parere è anche Antonio Spanevello del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Università degli Studi dell’Insubria, Varese-Como e IRCCS Maugeri, Tradate,  il quale sottolinea che “proprio per il fatto che i pazienti di questo studio non erano selezionati e quindi erano pazienti del tutto sovrapponibili a quelli che quotidianamente vediamo nei nostri ambulatori, i risultati di questo lavoro, il primo nel suo genere, possono essere traslati alla popolazione generale più facilmente che non i classici studi randomizzati, controllati ed in doppio cieco, su popolazioni selezionate”. Da questo studio, la comunità scientifica non potrà far altro che trarne vantaggio in quanto, ha concluso Spanevello: “disporre di dati prodotti in real life integra utilmente i dati prodotti dagli studi clinici tradizionali e consente al medico di avere una visione più approfondita delle potenzialità dei farmaci che utilizza abitualmente. Inoltre questo studio, potrebbe servire da modello per altri studi simili e quindi questo positivo incremento di conoscenze potrebbe estendersi anche ad altre aree terapeutiche”.
“Sarebbe davvero interessante realizzare uno studio analogo anche a livello regionale, ma le risorse impiegato per il Salford Lung Study sono enormi e attualmente la Lombardia non ne dispone” ha quini concluso Cavallazzi.
 
 
 

20 dicembre 2016
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