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Malattie reumatiche. Intervista a Silvia Tonolo, neo presidente Anmar: “Solo uniti si vince”

di Ester Maragò

Per la Presidente dell’Associazione nazionale dei malati reumatici è essenziale creare un’unione tra tutte le associazioni dei pazienti per portare avanti insieme gli obiettivi comuni e dare forza agli oltre cinque milioni di malati. Servono reumatologi nelle commissioni di invalidità, specialisti territoriali e tempi di attesa più celeri per avere una diagnosi

04 GEN - “Fare sempre più squadra con le associazioni dei pazienti per dare forza e voce a cinque milioni e mezzo di pazienti”. È questo l’obiettivo prioritario di Silvia Tonolo neo presidente di Anmar, l’Associazione nazionale dei malati reumatici, subentrata a Renato Giannelli e già vice presidente di Anmar e presidente dell’associazione malati reumatici Veneto. In questa intervista a Quotidiano Sanità ha spiegato quali sono le istanze da portare avanti. Ci sono infatti criticità che vanno affrontate: dalla necessità di avere un reumatologo nelle commissioni di invalidità fino a quella di garantire reumatologi ambulatoriali sul territorio. E anche quella di tenere sotto controllo l’aggiornamento dei Lea.
 
Quale sarà la parola chiave del suo mandato?
Unione. Credo sia essenziale, in questo momento, creare un’unione tra le varie Associazioni dei pazienti per dare forza, con un’unica voce, a cinque milioni e mezzo di malati reumatici che devono essere rappresentati bene. Se vogliamo farci ascoltare dobbiamo marciare in pieno accordo, per portare avanti gli obiettivi comuni, pur mantenendo la nostra autonomia. Per questo cercheremo di incontrarci quanto prima con i rappresentanti di Apmar e Anmer per capire come procedere.
 
Quali sono quindi le principali le istanze che volete portare avanti?
Innanzitutto che nelle commissioni di invalidità sia presente un reumatologo. Il problema è che nel mare magnum delle richieste di invalidità nessuno ha mai preso in considerazione in maniera approfondita le malattie reumatiche. Patologie altamente invalidanti che spesso e volentieri vengono sottovalutate: pensiamo che un malato reumatico può raggiungere in media un 50% di invalidità, al massimo si può arrivare ad un 60%; con le comorbilità all’80%, ma solo dopo aver presentato una serie di ricorsi alla commissione. Per questo chiediamo iter più facili e che in presenza di una diagnosi certa questa sia avvalorata da un reumatologo, specialista in grado di dare il giusto peso alla malattia. Dobbiamo far capire che queste patologie non colpiscono unicamente gli anziani, ma anche i giovani. Pensiamo al caso di una diagnosi di lupus eritematoso sistemico in una ragazza giovane: avrà davanti a sé un lungo percorso da compiere, deve quindi avere garanzie di futuro e che le venga riconosciuto il giusto grado di invalidità. Ne abbiamo parlato anche con il ministro della Salute Beatrice Lorenzin prima di natale. Ora aspettiamo di avere una risposta. Sul tappeto ci sono poi Lea sui quali dobbiamo ancora continuare a discutere perché mancano alcuni passaggi fondamentale per i malati reumatici.
 
Quali?
Penso ad esempio alla fibromialgia che non è stata inserita nei Livelli essenziali di assistenza e che prima o poi dovrà essere presa in considerazione. Le persone che ne soffrono sono di fatto “malati orfani”: dalle malattie rare sono passati nell'ambito di quelle reumatiche, ma di fatto sono trascurati anche dai reumatologi. Con l’aggiornamento costante dei Lea dovremmo avere una carta in più da giocare. Non ci credo molto, ma sono speranzosa.
 
Altre punti in agenda?
Un'altra battaglia che le Associazioni dei pazienti insieme ai reumatologi devono portare avanti è far capire quando sia strategico avere dei reumatologi territoriali. Si parla tanto di reti reumatologiche che prevedono la presenza di reumatologi all’interno degli ambulatori territoriali, proprio per consentire un facile accesso alle cure. In realtà queste non sono distribuite capillarmente sull’intero territorio. Anzi, tranne rarissime eccezioni regna la disorganizzazione. Anche nella virtuosa regione Veneto ci sono realtà, ad esempio nella zona montagnosa di Asiago, dove i pazienti sono costretti a spostarsi per avere una visita immediata.
C’è poi il problema delle liste di attesa: si aspetta anche dodici mesi per avere una diagnosi di malattia. Inaccettabile per patologie in cui la diagnosi precoce è fondamentale. Credo che, su questo fronte, sia importante lavorare di più sulla formazione dei medici di famiglia. Infine, dobbiamo sfatare l’idea che le malattie reumatiche siano solo le "malattie dei vecchi". Io mi sono ammalata a 25 anni, e come me ci sono tanti giovani e bambini che si ammalano e ai quali dobbiamo garantire un futuro roseo. Per questo, a dicembre del 2015, abbiamo creato Anmar Young: un'occasione per dare loro voce.
 
Parliamo infine di terapie...
I farmaci biologici hanno cambiato la vita dei malati reumatici, ma per aumentare ancora di più la compliance ritengo che occorra ancora lavorare su un’adeguata informazione ai pazienti per far crescere la consapevolezza sulle cure ricevute.
 
Ester Maragò
 

04 gennaio 2017
© Riproduzione riservata

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