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Ecco perché la dieta occidentale provoca obesità. Le possibili ricadute terapeutiche

di Maria Rita Montebelli

Una dieta ricca di grassi e zuccheri aumenta il livello degli endocannabinoidi e determina iperfagia. L’inibizione farmacologica dei recettori periferici degli endocannabinoidi corregge le alterazioni del comportamento alimentare che portano al sovrappeso e all’obesità. Si riaccende dunque l’interesse nei confronti degli inibitori degli endocannabinoidi come possibile strategia anti-obesità. A differenza del vecchio rimonabant, ritirato dal mercato per i gravi effetti indesiderati psichiatrici, la nuova generazione agisce solo in periferia.

12 GEN - Potrebbe essere la composizione stessa della dieta ‘occidentale’ la causa della dilagante epidemia di obesità/sovrappeso sotto gli occhi di tutti. A suggerirlo è una ricerca della University of California Riverside, pubblicata su  Physiology & Behavior , che avrebbe individuato anche l’effettore finale di questo flagello: un aumento del signaling periferico degli endocannabinoidi, che porterebbe a mangiare in maniera esagerata e dunque ad accumulare chili di troppo.
 
Il sistema degli endocannabinoidi è pressoché ubiquitario nei mammiferi ed esercita la sua azione sia a livello cerebrale, che negli organi periferici. Tra le sue svariate funzioni fisiologiche vi sono anche quelle del controllo dell’appetito, del bilancio energetico e del reward, del senso di ‘ricompensa’ cha alcuni cibi trasmettono. Gli endocannabinoidi sono delle molecole di segnale lipidiche che agiscono su recettori sparsi in tutto l’organismo.
Secondo i ricercatori californiani, un interessante filone di studi per la ricerca di farmaci anti-obesità è quello mirato ad inibire farmacologicamente i recettori periferici per gli endocannabinoidi, senza andare ad interferire con quelli localizzati a livello cerebrale, per evitare pericolosi effetti collaterali psichiatrici.
 
E’ la prima volta che una ricerca stabilisce che nell’eccesso di assunzione di cibo associato al consumo cronico di una dieta di tipo occidentale, sono coinvolte le vie di segnale degli endocannabinoidi a livello degli organi periferici.
 
Per testare questa ipotesi, gli autori dello studio (Nicholas V. DiPatrizio, professore associato di scienze biomediche presso la UC Riverside e il bioingegnere Donovan A. Argueta) hanno utilizzato un modello murino di obesità indotta dalla dieta occidentale (ovvero da un’esposizione cronica ad elevati livelli di zuccheri e lipidi). Dal loro studio è emerso che rispetto ai topi nutriti con una dieta standard a basso contenuto di grassi e zuccheri, gli animali nutriti con una tipologia di dieta ‘occidentale’ per 60 giorni, mostravano un rapido aumento di peso fino a diventare francamente obesi, mostrando i caratteri dell’iperfagia. Questi animali ingurgitavano cioè a gran velocità un elevato numero di calorie, consumando dei pasti decisamente più abbondanti dei loro ‘colleghi’ nutriti a dieta low fat/low sugar.
 
“La risposta iperfagica alla dieta occidentale  - spiega DiPatrizio – è risultata associata ad elevati livelli di endocannabinoidi (2-arachidonoil-sn-glicerol (2-AG) e anandamide) a livello del tenue e in circolo. L’inibizione farmacologica dell’azione degli endocannabinoidi sui recettori periferici, è risultata in grado di normalizzare completamente l’assunzione di cibo e la quantità dei pasti nei topi con obesità indotta dalla dieta occidentale, riportando i loro consumi alimentari in linea con quelli dei topi del gruppo di controllo, nutriti con il mangime a composizione standard”.
 
Altri gruppi di ricerca avevano già segnalato la presenza di elevate concentrazioni di endocannabinoidi anche in soggetti umani obesi; fatto questo che suggerisce che questo meccanismo potrebbe giocare un ruolo anche nel determinismo dell’obesità umana.
 
In passato, grandi aspettative erano state riposte nel rimonabant, un inibitore dei recettori degli endocannabinoidi, immesso sul mercato come farmaco contro la sindrome metabolica e l’obesità. Questa molecola è stata tuttavia presto abbandonata a causa dei gravi effetti indesiderati psichiatrici (depressione, suicidio) che induceva, esercitando la sua azione non solo sui recettori degli endocannabinoidi periferici, ma anche a livello cerebrale.
 
Una nuova generazione di inibitori dei recettori degli endocannabinoidi attivi solo a livello periferico, come la molecola AM6545 utilizzata in questi esperimenti, riaccende dunque l’interesse per questa categoria di farmaci come potenziale trattamento anti-obesità.
 
Tra i futuri progetti di ricerca del gruppo californiano c’è anche quello di studiare in maniera più dettagliata quali alimenti siano in particolare in grado di indurre un comportamento iperfagico, sostenuto ad una elevazione dei livelli di endocannabinoidi.
 
Lo studio è stato finanziato da un grant dei NIH/National Institute on Drug Abuse.
 
Maria Rita Montebelli

12 gennaio 2017
© Riproduzione riservata

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