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Soia e tumore della mammella: chiarito il paradosso della mancata risposta al tamoxifene

di Maria Rita Montebelli

La soia protegge contro il tumore della mammella, ma guai a farsi prendere dalla passione dopo la diagnosi del tumore perché può vanificare la risposta al tamoxifene e favorire la comparsa di recidive. Questo in sintesi il messaggio di uno studio appena pubblicato su Clinical Cancer Research.

02 FEB - Mangiare o bere prodotti a base di soia durante il trattamento per tumore della mammella fa bene o male? I ricercatori del Georgetown Lombardi Comprehensive Cancer Center rispondono a questa domanda in uno studio appena pubblicato su Clinical Cancer Research.
 
La ricerca, condotta su modelli animali (ratto), ha consentito di individuare le modalità attraverso le quali un consumo costante di soia sul lungo periodo migliora l’efficacia del tamoxifene e riduce il rischio di recidiva del tumore della mammella. Lo stesso studio rivela però anche che iniziare a consumare prodotti a base di soia per la prima volta durante il trattamento con tamoxifene riduce l’efficacia di questo farmaco e dunque facilita la comparsa di recidive.
 
Ad esercitare questo effetto ‘positivo’ o ‘negativo’ sulloutcome del trattamento con tamoxifene  è soprattutto la genisteina, uno degli isoflavoni più attivi della soia.
 
“Da tempo è noto il cosiddetto paradosso della genisteina – spiega Leena Hilakivi-Clarke, professore di oncologia al Georgetown Lombardi -  un composto che ha una struttura simile a quella degli estrogeni e che è in grado, entro certo limiti, di attivare i recettori per gli estrogeni. E’ noto che gli estrogeni svolgono un importante ruolo nella crescita del tumore della mammella; per questo l’elevato consumo alimentare di soia tra le donne asiatiche correla con un tasso di tumore della mammella cinque volte inferiore a quello registrato nelle donne dei Pesi occidentali, che di soia ne consumano molto meno. Ma allora perché la soia, che mima gli estrogeni, risulta protettiva contro il cancro della mammella nelle donne asiatiche?”
 
Oltre il 70% dei tumori della mammella (nel 2012 ne sono stati registrati 1,67 milioni di nuovi casi nel mondo) hanno recettori per gli estrogeni; il tamoxifene e le altre terapie endocrine utilizzate per questo tumore hanno appunto lo scopo di ridurre questo effetto di promozione della crescita tumorale tipico degli estrogeni. Purtroppo, circa la metà delle pazienti trattate con questi farmaci finiscono con il diventare resistenti a queste terapie e/o sviluppano una recidiva tumorale.
 
Lo studio appena pubblicato è riuscito ad evidenziare su modello di ratto di tumore della mammella che è il timing di assunzione della genisteina il fattore cruciale per far pendere l’ago della bilancia verso un outcome positivo o al contrario negativo nei soggetti in trattamento con tamoxifene.
 
Chi è abituato da tempo a consumare prodotti a base di soia prima della comparsa di un tumore della mammella, mostra una migliore immunità globale contro questa forma di tumore che lo protegge dallo sviluppo e dalle recidive di tumore della mammella. “La genisteina – spiega il leader dello studio Xiyuan Zhang – inibisce anche il meccanismo dell’autofagia che consente alle cellule tumorali di sopravvivere e che spiega perché funziona il tamoxifene.”
 
Studi condotti in passato su donne non hanno dimostrato effetti negativi del consumo di soia sull’outcome del tumore della mammella; addirittura le donne asiatiche o caucasiche che consumano anche solo 1/3 di tazza di latte di soia al giorno (l’equivalente di 10 mg di isoflavoni) sono quelle che presentano il più basso rischio di recidiva di tumore della mammella.
 
Dunque un effetto protettivo importante. Ma la storia è molto diversa, sembra suggerire questo studio, se la passione per la soia scatta dopo che il tumore della mammella ha fatto la sua comparsa.
In questo studio su animali da esperimento, cominciare ad assumere genisteina dopo la comparsa del tumore ha fatto si che non si scatenasse una risposta immunitaria anti-cancro; “inoltre – spiega Zhang -  anche se non sappiamo ancora attraverso quale meccanismo, questo ha reso gli animali resistenti agli effetti benefici del tamoxifene,aumentando così il rischio di una recidiva”.
 
I ratti che avevano consumato genisteina da adulti presentavano infatti un rischio di recidiva di carcinoma della mammella del 7% dopo trattamento con tamoxifene, contro il 33% di quelli esposti alla genisteina solo dopo la comparsa del tumore.
 
“Siamo riusciti a risolvere il puzzle del rapporto genisteina-cancro della mammella nel nostro modello di ratto, riuscendo a spiegare perfettamente il paradosso osservato negli studi animali e sull’uomo condotti in passato. Molti oncologi consigliano tout court alle loro pazienti di non assumere dei supplementi di isoflavoni o di consumare alimenti a base di soia. Ma i nostri risultati – afferma Hilakivi-Clarke - suggeriscono un messaggio più sfumato: le pazienti con cancro della mammella dovrebbero continuare a consumare alimenti a base di soia dopo la diagnosi, ma non è il caso di cominciare a consumarli dopo una diagnosi di cancro della mammella, se non si è mai assunta in precedenza la genisteina.”
 
Maria Rita Montebelli

02 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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