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E. Coli. Nella Malattia di Crohn può essere legato alla spondiloartrite

di Will Boggs

Il batterio Escherichia Coli potrebbe rivestire un ruolo importante anche nello sviluppo di spondiloartrite nei pazienti già affetti da Malattia di Chron. Sarebbe, infatti, in grado di innescare una risposta immunitaria alla base di questa forma di artrite.

21 FEB - (Reuters Health) – Un patotipo particolarmente virulento di Escherichia Coli potrebbe contribuire allo sviluppo di spondiloartrite associata alla Malattia di Crohn. Il batterio, quando presente a livello intestinale, sarebbe in grado di innescare una risposta immunitaria che sta alla base dello sviluppo della spondiloartrite associata alla Malattia di Crohn. Questo è ciò che emerge dallo studio made in Usa pubblicato su Science Translational Medicine.
 
“I sintomi clinici, tra cui le manifestazioni extra-intestinali nella Malattia di Crohn offrono la possibilità di capire quali sono i meccanismi microbici, immunitari e genetici alla base della patogenesi della malattia – afferma Randy S. Longman della Weill Cornell Medical College di New York City, principale autore dello studio – Il nostro lavoro ha messo in evidenza il potenziale ruolo delle interazioni ospite-microbo che orienta l’infiammazione sistemica verso la spondiloartrite associata a Malattia di Crohn”.
 
Le alterazioni del microbioma intestinale nella malattia infiammatoria dell’intestino suggeriscono che il microbioma stesso giochi un ruolo nell’innescare il processo infiammatorio sistemico. Tuttavia la scienza non è ancora arrivata a caratterizzare il microbioma nella spondiloartrite associata a Crohn, ed è proprio questo ciò che ha tentato di fare il team americano.
 
Lo studio
I ricercatori hanno utilizzato una tecnica di recente sviluppo, l’IgA-ss, per caratterizzare il microbioma di 59 pazienti affetti da morbo Crohn con o senza spondiloartrite. La sequenza di IgA-Seq ha rivelato in questi pazienti un significativo incremento di E. Coli simile nel genotipo e nel fenotipo ad un patotipo di E. Coli aderente all’intestino e invasivo. “Il nostro studio inoltre ha rilevato la presenza di un gene di virulenza chiamato pduC in alcuni pazienti. Queste gene – ha osservato il dottor Longman – permette a questi batteri di nutrirsi di alcuni metaboliti presenti nello strato epitaliale mucoso; l’isolamento di questo gene impedisce ai batteri di indurre le cellule Th17, che sono quelle dell’immunità sistemica. Il risultato è importante perché mette in evidenza una potenziale via metabolica batterica che può essere usata come terapia mirata per alterare l’induzione di Th17”.
 
Le conclusioni
“Il messaggio principale per i medici è quello di concentrarsi non tanto sui cambiamenti del microbiota, quanto sulla risposta dell’ospite rispetto alla flora intestinale, almeno quando si tratta di malattie infiammatorie croniche intestinali e delle loro complicanze extraintestinali, in modo da scegliere in modo più appropriato le terapie”, commenta Laurent Dubuquoy del Lille Inflammation Research Center dell’Università di Lille, non coinvolto nello studip. La diagnosi precoce della risposta immunitaria contro il patotipo dell’E.Coli è un interessante indicatore per predire complicanze extraintestinali della Malattia di Crohn, che dovrebbe consentire l’utilizzo di terapie mirate e aumentarne l’efficacia.
 
Fonte: Science Translational Medicine
 
Will Boggs
 
(Versione italiana Quotidiano Sanità / Popular Science) 

21 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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