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Il più grande quadro dei pattern di attività fisica nel mondo, disegnato attraverso gli smartphone

di Maria Rita Montebelli

Oltre 5 milioni di persone muoiono ogni anno per cause imputabili alla sedentarietà. E l’Università di Stanford ha individuato un nuovo strumento per monitorare in maniera accurata la ‘pandemia di sedentarietà’: il cellulare. Nel più grande studio mai condotto finora sull’attività fisica ‘spontanea’ (oltre 700.000 persone, in oltre un centinaio di Paesi diversi), le registrazioni dei ‘passi’ fatti ogni giorno ha permesso di definire i pattern di sedentarietà: maggiori nelle città meno ‘camminabili’ e tra le donne. Indicazioni preziose per interventi mirati contro la pandemia di obesità.

12 LUG - E’ uno studio che ha un po’ il sapore del ‘Grande Fratello’ visto che ha messo il naso nei cellulari di oltre 700 mila di persone. Ma gli scopi sono assolutamente benefici e la ‘partecipazione’ allo studio è avvenuta, anche se inconsapevolmente, in forma anonima.
Ad annunciarlo al mondo con un post su Twitter (‘Big data in action!’)  è lo stesso Francis Collins direttore dei National Institutes of Health americani anche perché questa ricerca, appena pubblicata come lettera su Nature online, è stata realizzata grazie ad un grant dei NIH.
 
E i risultati di tutto questo, che è il più grande studio mai realizzato al mondo sull’attività fisica dell’uomo, sono firmati dalla Stanford University. Con pazienza certosina, i ricercatori americani hanno monitorato l’attività fisica della popolazione di oltre 100 Paesi del mondo, attraverso il numero di ‘passi’ registrati dai loro smartphone, giorno dopo giorno. Da questa enorme operazione di monitoraggio potranno naturalmente scaturire una serie di suggerimenti su come facilitare l’attività fisica, invogliando la gente o mettendola in condizione di svolgerla.
 
Big data non significa solo grandi numeri – spiega Grace Peng, direttore del programma di Computational Modeling, Simulation and Analysis del National Institute of Biomedical Imaging and Bioengineering (NIBIB) – ma anche la capacità di valutarne i pattern che a loro volta possono spiegare importanti trend di salute. Da questo punto di vista la scienza e il modeling dei dati possono rappresentare strumenti utilissimi perché aiutano a raccogliere e analizzare tutti i dati personalizzati registrati nei nostri cellulari e nei device indossabili”.
 
E da questo punto di vista i cellulari (3 adulti su 4 nei Paesi industrializzati e 1 adulto su 4 in quelli in via di sviluppo ne possiedono uno) rappresentano una risorsa formidabile poiché sono dotati di minuscoli accelerometri in grado tra l’altro di registrare i ‘passi’ che compiamo durante il giorno.
 
Per questo studio sono stati selezionati gli utilizzatori di un’app gratuita  (Azumio Argus) per il monitoraggio dell’attività fisica e di altre misure (età, genere, altezza, peso registrati dagli utenti sull’applicazione).
I ricercatori della Stanford hanno analizzato 68 milioni di giorni di registrazioni da 717.527 utilizzatori anonimi di questa applicazione, residenti in 110 Paesi diversi; la ricerca si è poi focalizzata però su 46 nazioni, ognuna delle quali rappresentata da almeno un migliaio di utenti. Il 90% degli utenti vivevano in 32 nazioni industrializzate e solo il 10% in Paesi a medio income.
Per calcolare le disparità di attività fisica per nazione i ricercatori della Stanford hanno utilizzato il Gini index, parametro usato dagli economisti per descrivere le disparità di income. In questo modo è stata ottenuta la misura di quanto una nazione fosse ‘ricca’ o ‘povera’ in attività fisica. “Le regioni ad alta disparità di attività fisica – spiegano i ricercatori – avevano molte persone ‘povere’ in attività fisica e la disparità di attività fisica rappresenta un forte predittore di esiti negativi per la salute”.
 
L’utente medio di questa applicazione faceva circa 5.000 passi al giorno e dal confronto tra le nazioni con pattern di attività fisica più uniformi e quelle con maggior disparità sono emersi interessanti informazioni e dinamiche. In particolare, i soggetti residenti nelle 5 nazioni con la maggiore disparità di attività fisica sono anche quelle con i maggiori problemi di obesità: il loro rischio di obesità è risultato del 200% maggiore rispetto ai soggetti residenti nelle nazioni con il più basso indice di disparità nell’attività fisica.
 
Le nazioni con maggiori disparità nel livello di attività fisica sono anche quelle con il maggior numero di donne sedentarie. Dove invece l’attività fisica presenta livelli più uniformi (come ad esempio in Giappone), maschi e femmine risultano attivi in maniera confrontabile. Al contrario, ne Paesi con le maggiori disparità di attività fisica (es. Arabia Saudita e USA), sono in genere le donne quelle più sedentarie, con un gender gap di ben il 43% tra i due sessi per quanto riguarda il livello di attività, un dato questo riflesso anche la più rapido aumento di prevalenza di obesità tra le donne, nelle popolazioni più sedentarie.
 
In questo senso insomma, la ‘disparità’ diventa un importante target per gli interventi contro l’obesità. Attraverso simulazioni fatte al computer, gli autori dello studio hanno dimostrato che gli interventi con questo target possono determinare una riduzione dell’obesità 4 volte maggiore rispetto ad interventi non mirati.
 
I ricercatori americani hanno anche esplorato l’idea di risolvere almeno in parte la questione ‘disparità di attività’ e ‘gender gap’ in questa disparità, aumentando la ‘camminabilità’ delle città, creando cioè un ambiente sano e piacevole per fare delle passeggiate. E’ chiaro che vivere in una città attraversata da arterie ad elevato scorrimento non invita a fare passeggiate ma a prendere la macchina. E in effetti, dati provenienti da 69 città degli Stati Uniti confermano che le città con i maggiori ‘walkability score’ sono anche quelle che hanno le minori disparità di attività. Le città più percorribili a piedi sono quelle che hanno fatto registrare tra gli utilizzatori dell’app per smartphone il maggior numeri di passi individuali al giorno in tutte le categorie considerate (età, sesso, BMI), anche se le donne per qualche motivo restano sempre un po’ più indietro rispetto agli uomini.
 
Un’istanza quella delle città fonte di malattia, ma anche possibili ‘strumenti’ di salute, di recente tirata in ballo anche dalla ‘Lettera aperta ai sindaci’, siglata da Anci (Enzo Bianco, Presidente Consiglio nazionale ANCI) e Federsanità (Angelo Lino Del Favero, Presidente Federsanità Anci), e firmata tra gli altri anche da Andrea Lenzi,  Presidente di Health City Institute, Giovanni Malagò, Presidente del Coni e Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità.
 
Importanti spunti di riflessione insomma derivanti da uno studio che è mille volte più ampio di qualunque altra ricerca mai realizzata finora sul movimento umano ed che ha il vantaggio di aver utilizzato dati di vita reale e non questionari nei quali il grado di attività fisica viene autoriferito. Una metodologia di lavoro che apre la strada ad un nuovo filone di ricerche basate su enormi basi di dati, a portata di mano. Anzi di cellulare.
 
Maria Rita Montebelli

12 luglio 2017
© Riproduzione riservata

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