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Tumore ovaio. L'80% delle diagnosi in fase avanzata. Aiom: “Va garantito adeguato percorso diagnostico e terapeutico”


Nel corso della seconda giornata del congresso Aiom un focus dedicato ad una malattia femminile insidiosa. Carmine Pinto: “E’ necessario definire i percorsi all’interno delle reti regionali”. “E’ una neoplasia che presenta tassi di recidiva alti – spiega Nicoletta Colombo dello Ieo Milano –. E in questi casi il bisogno terapeutico delle pazienti è ancora in gran parte insoddisfatto”. Ma va posta grande attenzione anche agli stili di vita scorretti.

28 OTT - Otto donne su dieci colpite dal tumore dell’ovaio ricevono la diagnosi quando la malattia è in fase avanzata. In questo stadio fino all’80% delle pazienti presenta una ricomparsa della patologia entro i primi due anni dalla fine dei trattamenti. Diventa quindi fondamentale incrementare il numero di diagnosi tempestive che possono avvenire durante i controlli ginecologici di routine. Oggi infatti il tumore è individuato in fase iniziale solo nel 10% di casi. Le nuove frontiere nella lotta a questa neoplasia femminile sono uno dei temi al centro del XIX Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) in corso fino a domani a Roma con la partecipazione di oltre 2.500 specialisti.
 
“La malattia in stadio iniziale non presenta sintomi specifici o evidenti - afferma Carmine Pinto, presidente nazionale Aiom -. Solo quando è in fase avanzata si manifesta chiaramente attraverso perdita di appetito e problemi digestivi, gonfiore o dolore addominale, stitichezza, diarrea e dolore nella regione lombare. Anche per questo motivo, i tassi di sopravvivenza registrati per la neoplasia dopo cinque anni sono ancora relativamente bassi. Oggi il 39% delle donne riesce a sconfiggerla contro l’87% registrato nel tumore del seno. Risulta quindi particolarmente importante sviluppare una conoscenza ed un’informazione diffusa su questa patologia neoplastica”. Nel 2017 in Italia sono previsti 5.200 nuovi casi di tumore dell’ovaio, pari al 3% di tutte le neoplasie femminili.
 
“Il carcinoma ovarico rappresenta il 30% di tutti i tumori che colpiscono l’apparato genitale delle donne - spiega Stefania Gori, presidente eletto Aiom -. Numerosi studi scientifici hanno dimostrato che l’età e l’infertilità sono tra i principali fattori di rischio, mentre la pillola contraccettiva svolge un effetto protettivo che varia in base al durata dell’assunzione. E’ anche necessario seguire sempre stili di vita sani, limitare l’assunzione di grassi a tavola, non esagerare con l’alcol e tenere sempre sotto controllo il proprio peso. Infine, va ricordato che si tratta di una malattia influenzata da fattori ereditari: fino al 10% di tutti i casi è dovuto all’alterazione di due geni, BRCA-1 e BRCA-2. La presenza di queste mutazioni può favorire l’insorgenza di un cancro sia all’ovaio che al seno”.
 
“Quando la neoplasia presenta una recidiva il bisogno terapeutico delle pazienti è ancora largamente insoddisfatto - aggiunge Nicoletta Colombo, Direttore della Divisione di ginecologia oncologica medica dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano -. Le donne sono, di solito, sottoposte a diverse linee di chemioterapia ma l’efficacia del trattamento si riduce progressivamente. In assenza di cure risolutive è quindi fondamentale poter offrire una terapia di mantenimento in grado di arrestare o rallentare la progressione della patologia e prolungare gli intervalli liberi da chemioterapia. In quest’ambito Si abbiamo disponibili una nuova classe di farmaci, gli anti-PARP, che sono in grado di inibire i meccanismi che riparano il DNA nelle cellule neoplastiche dell’ovaio. Queste terapie hanno dimostrato di aumentare significativamente la sopravvivenza libera da progressione”. 
 
Il tumore dell’ovaio è una patologia a bassa incidenza ma che presenta un’elevata mortalità. Si calcola che sia tra le prime cinque cause di decesso per cancro tra le italiane al di sotto dei 69 anni. “Per salvare sempre più vite umane è indispensabile favorire la realizzazione di percorsi-diagnostico terapeutici assistenziali - sostiene Pinto - che prevedono dai test genetici per il BRCA, per le donne che hanno già avuto fra i parenti più stretti un certo numero di casi di cancro dell’ovaio che indicano la presenza di ereditarietà genetica, alla più adeguata diagnostica, alla chirurgia che richiede centri specializzati, alle terapie mediche oncologiche. Vanno quindi definiti e garantiti questi percorsi in tutte le Regioni d’Italia nell’ambito delle reti oncologiche”.

28 ottobre 2017
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