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Microbioma intestinale: potrebbe causare danni cerebrali in corso di sepsi

di Maria Rita Montebelli

E’ la rivoluzionaria ipotesi scaturita da una ricerca condotta negli Stati Uniti: alcuni batteri del microbioma intestinale in corso di sepsi potrebbero traslocare nel cervello (e forse anche in altri organi) scatenando una reazione infiammatoria che può determinare danni cognitivi di lunga durata. Le normali emocolture non sono in grado di rivelare questo fenomeno che, se venisse confermato, potrebbe forse essere arginato somministrando ai pazienti con sepsi anche antibiotici per bocca, per distruggere la flora batterica intestinale.

07 MAR - Sopravvivere ad una patologia grave, come la sepsi, può comportare delle conseguenze, anche a livello cognitivo che equivalgono a quelle di una trauma cranico lieve e che possono perdurare mesi o anni.
 
Quale ne sia la causa non è sempre chiaro tuttavia. Ma uno studio appena pubblicato su American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, avanza un’ipotesi interessante: il microbioma intestinale potrebbe essere il responsabile delle alterazioni cognitive osservate nei pazienti sopravvissuti alla sepsi.
 
“Sappiamo, da studi condotti in passato – afferma Benjamin Singer, professore associato di medicina interna presso Michigan Medicine (Usa) – che la sepsi determina una disfunzione cerebrale di lunga durata e che la neuro-infiammazione gioca un ruolo nel danno cerebrale che si produce nel corso dell’infezione. Noi abbiamo avanzato l’ipotesi che il danno cerebrale possa essere direttamente correlato ai batteri intestinali, che possono traslocare nel cervello, dove forse scatenano una risposta infiammatoria, causa di conseguenze di lungo termine”.
 
In passato alcuni studi hanno portato a ipotizzare che  il microbioma intestinale possa aumentare il rischio di infiammazione polmonare in corso di sepsi; ma finora nessuno era andato a studiare  un’eventuale influenza del microbioma sul cervello.
 
Il gruppo di Singer ha utilizzato modelli animali (topi) e campioni di tessuto cerebrale provenienti a soggetti deceduti per sepsi confrontandoli rispettivamente con il cervello di topi e di umani deceduti per cause non infettive.
 
I ricercatori americani sono inoltre ricorsi alla tecnica del sequenziamento genico 16S rRNA (che individua il DNA di batteri presenti in un campione biologico) per valutare la presenza di batteri intestinali nei tessuti murini e umani.
 
In questo modo gli autori dello studio sono riusciti a dimostrare che i  batteri intestinali presenti nel cervello dei topi morti per sepsi, correlavano con i livello di S100A8, un marcatore di neuro-infiammazione.
 
“Quando un individuo muore – spiega Singer – i batteri crescono senza controllo perché il sistema immunitario non riesce più a controllarli. Ma i batteri che abbiamo isolato dai pazienti morti di sepsi sono del tutto diversi da quelli che si trovano nel corpo di una persona deceduta e risultano associati a marcatori di neuro-infiammazione.”
 
Gli autori ritengono dunque che la sepsi consenta ai batteri intestinali di traslocare nel cervello per diversi giorni, sia nel modello animale che nell’uomo, e che questo fenomeno correli con l’aumento dei marcatori di neuro-infiammazione nel cervello. In altre parole, il microbioma intestinale sembra giocare un ruolo anche nella disfunzione cerebrale che può comparire dopo una sepsi. Un dato molto importante sottolineano gli autori perché significa che i batteri che si disseminano nei diversi organi in corso di sepsi, non sono solo e sempre quelli che vengono individuati dalle emocolture e che diventano il bersaglio della terapia antibiotica.
 
“Ciò significa – conclude Singer – ma l’ipotesi andrà confermata da ulteriori studi, che la somministrazione di antibiotici per via orale, in grado di rimuovere questi batteri intestinali, potrebbe ridurre la disfunzione cognitiva di lunga durata che può comparire dopo una malattia critica”.
 
Maria Rita Montebelli

07 marzo 2018
© Riproduzione riservata

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