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Le promesse della genetica per la SLA

di Mario Melazzini

La Sla è una malattia dai meccanismi patogenetici così differenti da renderla davvero “orfana”, date le numerose diversificazioni fenotipiche che la caratterizzano. E diversi sono al momento i possibili trattamenti finora studiati per contrastarla, o se non altro provarci. Mentre procedono gli studi clinici nell’ambito della SLA a livello mondiale, al momento è già possibile accedere in Italia alla terapia a base di edaravone, che l’Agenzia Italiana del Farmaco ha reso disponibile già lo scorso anno con tempi autorizzativi molto ristretti

24 GIU - La ricerca nell’ambito delle malattie rare è un contesto sfidante, ma anche aperto a percorsi diversificati e dai risultati spesso incerti e sfaccettati.
 
E’ proprio in questo campo che la medicina deve farsi il più possibile personalizzata e soprattutto di precisione.
 
Le incoraggianti promesse della genetica già si traducono in progressi importanti in tal senso, ma l’area di investigazione è vasta e fitta di possibili strade e altrettanto diversificati, quindi, devono essere i metodi di analisi, così come gli strumenti di sostegno alla ricerca clinica di base e all’accesso alle terapie più in generale.
 
Uno degli aspetti più complessi della genetica medica umana è sviluppare la capacità di sopprimere l'espressione di geni mutanti che causano malattie trasmesse come caratteri dominanti.
 
Questo è tanto più vero nel caso delle malattie rare neurodegenerative, che hanno preliminarmente una forma genetica ereditaria, non reversibile attraverso le attuali terapie disponibili.
 
Una fra tutte, la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Una malattia dai meccanismi patogenetici così differenti da renderla davvero “orfana”, date le numerose diversificazioni fenotipiche che la caratterizzano. E diversi sono al momento i possibili trattamenti finora studiati per contrastarla, o se non altro provarci.
 
Esistono almeno quattro approcci - si legge in un recente articolo del New England Journal of Medicine - per sopprimere gli effetti tossici dei geni eziologici: l'uso di microRNA o oligonucleotidi antisenso (Sequenze di DNA o RNA complementari progettate per accoppiarsi con la sequenza bersaglio e attivare la degradazione dell'RNA) per l'ablazione dell'RNA trascritto dal gene; la riduzione del carico di proteina mutante, l’interferenza con il processo trascrizionale con l'uso di piccole molecole e la mutagenesi delle cellule somatiche.
 
Diversi rapporti hanno documentato che i primi tre di questi metodi sono fattibili. Il grande vantaggio dell'ultimo approccio è che la correzione del DNA mutante elimina le anomalie a valle ed è almeno in teoria un intervento una tantum.
 
C’è grande entusiasmo, cita sempre l’articolo, sulla possibilità di applicare l’editing genetico tramite l’impiego dei CRISPR-Cas9 per la correzione di parti specifiche di DNA: risultati incoraggianti sono stati ottenuti in un recente studio che ha utilizzato questa metodica su topi appena nati.
 
Benché il tasso di progressione della malattia non sia diminuito, la ricerca ha dimostrato un ritardo della sua insorgenza ed un prolungamento della sopravvivenza generale del 25%.
 
Trasferire però questo approccio in campo umano è uno degli ostacoli da superare, insieme all’individuazione della tempistica ottimale di applicazione. Nello studio, infatti, i ricercatori hanno utilizzato il sistema di modifica genetica subito dopo la nascita, quando la barriera emato-encefalica era più permeabile e prima che la malattia insorgesse in modo attivo.
 
Ciò vuol dire che tale metodo può essere valido per i pazienti con una storia familiare della malattia geneticamente determinata e nota, da confermare con screening tempestivi. Ma lo stesso non può dirsi per coloro che hanno una mutazione genetica che può influenzare il fenotipo della malattia sporadica e quindi identificabile solo per mezzo di screening a livello di popolazione.
 
E questo introduce un altro degli ostacoli, più in generale della ricerca
clinica nelle malattie rare, ovvero l’arruolamento di un numero sufficiente di pazienti negli studi clinici e le necessarie autorizzazioni normative e regolatorie.
 
Ma non bisogna dimenticare che rare sono le malattie e non i pazienti, come affermano a ragione le associazioni dei malati e dei loro familiari, e che la ricerca non si ferma davanti a percorsi anche in salita.
 
Mentre procedono gli studi clinici nell’ambito della SLA a livello mondiale, al momento è già possibile accedere in Italia alla terapia a base di edaravone, che l’Agenzia Italiana del Farmaco ha reso disponibile già lo scorso anno con tempi autorizzativi molto ristretti, inserendo il farmaco nell’elenco dei medicinali erogabili a carico del Servizio Sanitario Nazionale ai sensi della legge 648/96.
 
L’AIFA ha rinnovato tale disponibilità ed ampliato peraltro i criteri di accesso alla terapia, estendendone l’impiego anche a pazienti con diagnosi accertata da oltre due anni, purché presentino le stesse caratteristiche cliniche indicate e previa valutazione del medico specialista.
 
Nel percorso che porta alla scoperta di nuovi fondamentali trattamenti, la chiave risiede sempre nel gioco di squadra. Ricercatori, sviluppatori di medicinali, pazienti e loro associazioni, enti regolatori sono tutti player della stessa partita, in cui la risposta ai bisogni di salute è la meta da segnare.
 
Mario Melazzini
AIFA Editorial

24 giugno 2018
© Riproduzione riservata

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