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Trapianti. Nel 2018 lieve calo numero di interventi. È boom per le dichiarazioni di volontà. Giù le liste d’attesa per il rene 


I dati preliminari sono stati illustrati stamani all’Open day del Centro nazionale trapianti. Quasi triplicato sia il numero dei Comuni che effettuano la registrazione delle dichiarazioni di volontà sia il numero dei cittadini che la fanno. Il numero di trapianti da cadavere al 30 novembre è stato pari a 3419. In lista d’attesa ancora 8765 persone ma scendono quelli in attesa del trapianto di rene che rappresenta il numero più elevato. SCHEDA ATTIVITÀSCHEDA DICHIARAZIONI VOLONTÀ

17 DIC - Anche per il 2018 si confermano ottimi i dati relativi all’attività trapiantologica in Italia. Il numero dei donatori nel 2018 è stato di 1672 persone, che rappresenta il secondo miglior risultato dal 2002, inferiore seppur di poco solo al 2017. Stesso discorso vale per i trapianti da donatore cadavere che sono stati 3419. Boom si è registrato per le dichiarazioni di volontà. I Comuni che danno la possibilità di effettuarla sono stati 5.435 a fronte dei 2.216 del 2017. Più che raddoppiati anche i cittadini che le hanno sottoscritte: nel 2018 si è arrivati a quota 2,7 mln a fronte dei 900 mila totali registrati l’anno passato. Per quanto riguarda le liste d’attesa ad oggi attendo un trapianto 8.765 pazienti. Da registrare come vi sia un calo per chi attende un trapianto di rene (il numero più elevato): nel 2018 sono 6.521 rispetto ai 6.683 dell’anno passato. Sono questi alcuni dei numeri (aggiornati a novembre 2018) sull’attività trapiantologica in Italia presentati oggi all’Open Day del Centro nazionale trapianti.
 
Ma non solo numeri, durante la giornata sono stati anche illustrati alcune delle novità per quanto riguarda le terapie, come per esempio i trapianti in crossover, i trapianti da donatori HIV positivi in riceventi HIV positivi, la CAR-T.
 
“Guardando i trend – ha detto il Direttore del Centro nazionale trapianti, dott. Alessandro Nanni Costa - risulta evidente che negli ultimi quindici anni la Rete Trapianti ha avuto una crescita costante grazie ad una forte componente innovatrice, che ha permesso al sistema di progredire sotto vari aspetti. Questo è stato possibile con la realizzazione di progetti nati dall’intuito di alcuni sperimentatori e dal costante supporto delle istituzioni che hanno rivoluzionato i processi di allocamento, la chirurgia nel campo dei trapianti e la fase del follow-up. Idee inizialmente considerate utopistiche che col tempo sono diventate prassi consolidate e che hanno concretamente permesso di salvare molte vite umane, permettendo ad un numero sempre maggiore di pazienti di poter accedere al trapianto con la conseguente riduzione dei tempi di attesa e la crescita delle aspettative di vita dei trapiantati”.
 
 
Programma Deck e trapianti in crossover per sbloccare le liste di attesa
“Nel 2018 – ha spiegato Paolo Rigotti, Direttore Centro trapianti rene e pancreas A.O. Università di Padova  - per la prima volta, presso il Centro trapianti di rene e pancreas dell’Azienda ospedaliera dell’Università di Padova è stata realizzata una catena di trapianti di rene da vivente tra coppie donatore-ricevente incompatibili, innescata da un donatore deceduto: un’esperienza unica non solo a livello italiano ma anche internazionale. In pratica, la disponibilità di un donatore vivente ha permesso a un paziente di ricevere un rene da un altro donatore deceduto, di fatto accorciando i tempi di attesa e permettendo di salvare due vite anziché una soltanto. La donatrice è stata dimessa dopo soli tre giorni dall’intervento, effettuato con tecnica mininvasiva laparoscopica, ed è in ottime condizioni così come i due riceventi, che hanno già una funzionalità renale del tutto normale. L’opzione del trapianto da vivente in Italia è sempre più utilizzato dai pazienti con insufficienza renale cronica, grazie anche agli ottimi risultati e alla sicurezza per la procedura per il donatore. Tuttavia in numerosi casi l’opzione della donazione diretta tra persone affettivamente legate non è praticabile a causa di un incompatibilità immunologica. Proprio per ovviare alla scarsità di donatori nasce il programma Deck (DECeased Kidney), che implica l’utilizzo di reni da donatore deceduto per implementare i trapianti di rene da donatore vivente tra coppie incompatibili.
 
Trapianto di rene, il nuovo algoritmo per l’allocazione
“La definizione e l’applicazione dei criteri di assegnazione degli organi – ha affermato Massimo Cardillo, Direttore Coordinamento trapianti Policlinico di Milano -  devono rispondere a requisiti di trasparenza e di rispetto dei principi di beneficialità ed equità verso i pazienti in attesa, e nello stesso tempo non devono penalizzare il reperimento di questa scarsa risorsa. Un’indagine del Centro nazionale trapianti aveva rilevato, già nel 2014, che i criteri di assegnazione dei reni adottati nelle diverse Regioni italiane sono piuttosto disomogenei, non tanto nella scelta delle variabili utilizzate negli algoritmi di allocazione quanto nel peso che viene attribuito alle stesse variabili, e al principio di funzionamento degli algoritmi (score, livelli di priorità, sistemi misti, eccetera). Nel dicembre 2016 il Cnt ha istituito un gruppo di lavoro con l’incarico di sviluppare un unico algoritmo di assegnazione dei reni per tutte le Regioni italiane. Il gruppo ha analizzato le evidenze della letteratura e i dati del Sistema informativo trapianti (14.917 iscrizioni in lista nel periodo 2013-2017, 12.031 trapianti nello stesso periodo); le analisi statistiche (univariate e multivariate) hanno valutato la probabilità di trapianto e di successo del trapianto per diverse categorie di pazienti, consentendo di definire con rigore scientifico i pesi da attribuire alle diverse variabili. In questo modo si è costruito un nuovo sistema di ordinamento della lista rispettoso sia dei criteri “etici”, come il tempo di attesa in dialisi, sia dei criteri di beneficialità, come la compatibilità immunologica. Inoltre, l’adozione di questo sistema in tutte le Regioni italiane garantirà un eguale trattamento dei pazienti, indipendentemente dalla sede di iscrizione in lista. Il sistema di assegnazione è stato approvato dalla Consulta nazionale trapianti e sarà operativo nei primi mesi del 2019, dopo il completamento dei sistemi informativi regionali che dovranno gestirlo”.
 
Il trapianto di organo solido da donatori HIV positivi in riceventi HIV positivi
“Negli ultimi decenni – ha detto Paolo Antonio Grossi, Direttore Clinica malattie infettive e tropicali Università dell’Insubria - la terapia antiretrovirale ha considerevolmente aumentato la sopravvivenza della popolazione che vive con l’infezione da HIV ed attualmente molti soggetti HIV positivi hanno una aspettativa di vita simile a quella della popolazione generale. D’altro canto l’incremento della sopravvivenza ha fatto emergere un significativo incremento di patologie croniche che in questa popolazione di pazienti risultano più frequenti e rapidamente evolutive, dalle insufficienze epatiche a quelle renali. Mentre nel passato l’infezione da HIV era considerata una controindicazione assoluta al trapianto, negli ultimi anni il ruolo del trapianto di organo solido in questa popolazione è stato riconsiderato alla luce dei successi in termini di outcome dei programmi di trapianto in pazienti con infezione da HIV e malattia cronica terminale realizzati all’estero. Una recente analisi effettuata dal Centro nazionale trapianti ha documentato che negli ultimi due anni sono stati segnalati ogni anno nel nostro Paese 10 donatori HIV positivi che potenzialmente possono generare almeno 30 organi per riceventi HIV positivi. 3 Il trapianto di organi da donatori sieropositivi pone comunque ulteriori sfide, soprattutto il rischio potenziale di superinfezione da HIV nel ricevente, ovvero la trasmissione di un ceppo di HIV con resistenza ai farmaci antiretrovirali che potrebbe precludere la soppressione di HIV dopo il trapianto. Dall’altro lato, si tratta di un’opportunità per contrastare lo stigma sociale nei confronti delle persone con infezione da HIV e per garantire l’accesso ad organi di qualità ad una popolazione di soggetti per lungo tempo discriminata in questo ambito, senza rischi aggiuntivi. Attualmente questo tipo di trapianto sembra promettente ma i dati finora disponibili non sono molti: è pertanto fondamentale iniziare questa attività anche in Italia, nell’ambito di un protocollo pilota realizzato dal Cnt che permetterà di raccogliere i dati clinici necessari a confermare i risultati finora ottenuti e sulla base del quale, con un decreto in vigore dall’8 marzo 2018, è stato abrogato il divieto di trapianto di organi da donatori HIV positivi. Attualmente l’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea ad avere dato formale inizio a questo tipo di attività. Nel nostro Paese sono già stati effettuati 9 trapianti (7 di rene e 2 di fegato) a partire da 5 diversi donatori HIV positivi: 5 trapianti sono stati effettuati nel 2017 a Varese, Milano, Ancona e Modena grazie a una speciale deroga del Ministero della Salute, mentre 4 trapianti sono stati effettuati a Varese e Genova dopo l’entrata in vigore del nuovo decreto in materia. Tutti e 9 gli interventi hanno avuto successo e ad oggi si riscontra un’ottima funzionalità dell’organo”.
 
CAR-T, le ultime novità
“Recentemente – ha affermato Letizia Lombardini, Direttore medico Centro nazionale trapianti -  è stata introdotta una nuova terapia per il trattamento della leucemia mieloide acuta e di un particolare tipo di linfoma. Questa terapia sfrutta la capacità dei linfociti del paziente, geneticamente modificati – linfociti CAR-T –, di riconoscere a distruggere le cellule malate del paziente. I linfociti vengono isolati dal sangue del paziente e “armati” con un recettore assemblato in laboratorio, che rende i linfociti ancora più efficaci nell’aggredire e distruggere le cellule neoplastiche. Il recettore CAR è detto “chimerico” perché costituito da diverse componenti. Queste cellule così modificate svolgono un’azione assimilabile a quella di un farmaco. Questa nuova terapia potrà essere utilizzata per trattare quei pazienti che sono ricaduti dopo terapie convenzionali e che mostrano una malattia non sensibile ai comuni chemioterapici, oltreché a quei pazienti trapiantati che sono ricaduti dopo aver avuto queste patologie”.
 
Trapianti e attività fisica
“Da anni – ha spiegato Giovanni Mosconi, Drettore U.O. Nefrologia e dialisi Ospedale di Forlì il Centro nazionale trapianti è impegnato a verificare gli effetti positivi dell’attività fisica per il paziente con trapianto d’organo. Allo scopo di migliorare la qualità della vita del paziente e il suo reinserimento nella vita sociale, il Cnt ha promosso numerosi studi scientifici e progetti di comunicazione per spiegare come un programma personalizzato di esercizio fisico può aiutare a prevenire e a curare alcune patologie croniche che intervengono nel post trapianto. Lo studio clinico “Trapianti… e adesso sport” ha dimostrato che l’esercizio fisico previene alcune patologie metaboliche, cardiovascolari e osteoarticolari causate dalla terapia farmacologica 4 migliorando i parametri del paziente in quanto la creatinina e la proteinuria restano stabili, mentre forza fisica e resistenza migliorano. Questo studio rappresenta il punto di partenza per una serie di azioni intraprese a livello nazionale dal Cnt per promuovere l’avvio e lo sviluppo di un programma di prescrizione dell’attività fisica controllata per il paziente trapiantato e dializzato”.
 
“Caro cordone”: una video-inchiesta sul business delle banche private di sangue cordonale Oggi “In Italia – ha spiegato Francesca Candioli e Veronica Di Benedetto Montaccini giornaliste che hanno curato l’inchiesta vincitrice del Premio Roberto Morrione 2018 per il giornalismo investigativo - esistono 18 Cord Blood Bank, istituite all’interno di strutture pubbliche, che conservano circa 25 mila unità di sangue cordonale pronte all’uso come terapia salvavita e mappate all’interno dell’Ibmdr, il registro italiano donatori di midollo osseo, con sede a Genova. Nel nostro Paese la conservazione di cellule staminali è permessa a fini solidaristici solo per uso allogenico, cioè per persone diverse dal donatore stesso, mentre è vietata per legge la conservazione per uso autologo, ossia ad uso e consumo dello stesso neonato da cui sono state prelevate le cellule. La conservazione privata è una pratica che, secondo il Ministero della Salute e i principali esperti del settore, non ha alcun tipo di evidenza scientifica. Tuttavia viene comunque permessa fuori confine”.
 
L’inchiesta racconta proprio questo paradosso tutto italiano: da una parte questa modalità di conservazione è illegale, compresa la sua stessa pubblicità, dall’altra il cittadino rimane comunque libero di scegliere di conservare le cellule del proprio bambino a pagamento, in un laboratorio di crioconservazione con base all’estero. Sono già migliaia i genitori che hanno scelto di conservare privatamente in virtù della ricerca che verrà e del perché non si sa mai, alimentando questo business. In tutto il mondo sono 2 milioni le sacche conservate a pagamento, contro le circa 600 mila raccolte per il sistema pubblico. Il sangue, da bene comune quale dovrebbe essere, esattamente come l’acqua, rischia così di trasformarsi in un affare tra privati.
 

17 dicembre 2018
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