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Narcolessia. Identificato il substrato cerebrale del sogno nelle persone che ne sono affette


Un team di ricercatori della Sapienza e dell’Università di Bologna ha identificato il substrato cerebrale del sogno nelle persone affette da narcolessia. I risultati della ricerca, che confermano per la prima volta sperimentalmente la sovrapponibilità dei meccanismi cerebrali del sogno in fase Non-REM e REM, sono pubblicati sulla rivista Annals of Clinical and Translational Neurology.

04 FEB - A volte una patologia può fornire una possibilità unica di studio del funzionamento cerebrale. E’ il caso della Narcolessia con cataplessia - Narcolessia di Tipo 1 - una condizione invalidante causata dalla riduzione di ipocretina-1, un neurotrasmettitore importante nella regolazione del ritmo sonno-veglia, nonché dei neuroni che lo rilasciano.
 
La possibilità di osservare le basi neurali del sogno in pazienti affetti da eccessiva sonnolenza diurna ha consentito al team di ricercatori del Dipartimento di Psicologia della Sapienza e dell’Università di Bologna, insieme a ricercatori dell’Università dell’Aquila e dell’Istituto Irccs delle Scienze neurologiche di Bologna, di svelare il misterioso meccanismo dell’esperienza onirica e in particolare della sua prima fase, quella Non-REM. I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista Annals of Clinical and Translational Neurology.

“Le peculiarità del sonno dei pazienti con narcolessia – spiega Luigi De Gennaro della Sapienza – hanno permesso di chiarire, una volta per tutte, che l’esperienza del sogno non è limitata alla sola fase REM, ma si presenta con caratteristiche in massima parte sovrapponibili anche nella fasi Non-REM del sonno”.
 
Su un campione di 238 pazienti reclutati presso il Dipartimento Scienze biomediche e neuromotorie dell’Università di Bologna, i ricercatori ne hanno selezionati 43 con diagnosi di narcolessia di tipo 1, poi sottoposti al Multiple Sleep Latency Test (MSLT), il test clinico standard per la valutazione dell’eccessiva sonnolenza.
 
Al risveglio dai 5 sonnellini programmati nel corso del giorno, è stata valutata la presenza di sogni e, successivamente, questa è stata posta in relazione con l’attività elettrica cerebrale dei minuti che precedevano il risveglio. “In questo modo – continua De Gennaro – abbiamo potuto osservare non solo come i ripetuti attacchi di sonno diurni siano caratterizzati da una ricca esperienza onirica, ma anche da un esordio direttamente in sonno REM”. 
 
Da questa scoperta è derivata un’altra importante acquisizione. Alla base del ricordo del sogno vi è un unico meccanismo fisiologico, il livello di attivazione elettrofisiologica. In altri termini è più facile ricordare i sogni in presenza di un elevato ritmo di attivazione della corteccia cerebrale. Lo studio ha anche confermato che un network di aree cerebrali posteriori è alla base dell’esperienza onirica.
 
"Tutto è iniziato molti anni fa – spiega De Gennaro – quando abbiamo intrapreso lo studio sistematico delle basi neurali dei sogni. L’idea di partenza era che i meccanismi cerebrali del sogno potessero essere sostanzialmente sovrapponibili ai meccanismi sottostanti la rievocazione durante il giorno di memorie episodiche. Nonostante i diversi risultati ottenuti negli ultimi anni, fino a oggi l’unicità dell’esperienza onirica in fase REM, sostenuta da molti, restava ancora un quesito irrisolto”.

La scoperta ha implicazioni che aprono delle prospettive potenzialmente innovative per l’identificazione dei meccanismi del sogno, che provengano dallo studio di alcuni specifici disturbi del sonno, chiamati parasonnie.
 
Il team di studiosi autori dello studio ha in corso un progetto di ricerca su patologie, come il sonniloquio, che potrebbero permettere un diretto accesso all’esperienza onirica. Il prossimo obiettivo è quello di chiarire in che modo un’espressione linguistica nel sonno sottenda meccanismi simili alla programmazione linguistica durante la veglia. 

04 febbraio 2019
© Riproduzione riservata

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