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Terapie anti-HIV/AIDS. Gli esperti: scarsa considerazione per l’innovazione in questo campo

di Maria Rita Montebelli

In un recente convegno tenutosi a Milano i maggiori esperti italiani sull’argomento si sono confrontati sullo stato dell’arte dell’infezione da HIV/AIDS in Italia e sugli ostacoli all’innovazione in questo settore. L’Italia si colloca al top in Europa e nel mondo per gli eccellenti risultati del trattamento, che è ormai anche strategia preventiva. Ma non mancano i problemi: dalla scarsa implementazione del Piano Nazionale, alle difficoltà di accesso ai nuovi farmaci. Gli specialisti rivendicano la libertà prescrittiva, per poter personalizzare la terapia su ogni singolo paziente.

27 SET - Il 95 per cento dei pazienti italiani con infezione da HIV/AIDS in trattamento con anti-retrovirali raggiunge la soppressione virale. Un risultato di tutto rispetto che si staglia su uno sfondo di sconfortante calo di attenzione generale nei confronti di questa patologia.
 
Da qui la necessità di un’alleanza con le associazioni dei pazienti, di linee guida e prontuari terapeutici regionali come guida prescrittiva, ispirati alla cultura scientifica e con un occhio attento alla sostenibilità. Questi in sintesi gli argomenti emersi dal workshop WEF-HIV 2019 tenutosi di recente a Milano, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
 
“L’infezione da HIV è ormai diventata una patologia cronica – ricorda il professor Roberto Cauda, Ordinario di Malattie infettive, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – visto che i pazienti affetti da questa condizione non vanno più incontro alle gravi patologie opportuniste e ai tassi di mortalità del passato. Il 95 per cento dei pazienti italiani presenta soppressione della viremia, un risultato che pone l’Italia al top in Europa e nel mondo. Le terapie che abbiamo oggi a disposizione non rappresentano solo il trattamento per il singolo paziente ma un vero e proprio treatment as prevention per la collettività. Il trattamento infatti abbatte rapidamente la viremia, riducendo in questo modo il rischio di trasmissione dell’infezione”.
 
Il Ministero della Salute ha approvato un Piano Nazionale per la lotta contro l’HIV e l’AIDS (PNAIDS) che guarda al futuro; gli obiettivi contemplati dal Piano sono l’offerta del test, far emergere il sommerso (ovvero i casi non consapevoli del loro status di sieropositività), potenziare tutte le tappe dell’iter assistenziale, garantire la sostenibilità del sistema. Il piano nazionale è stato condiviso dalla Conferenza Stato Regioni equattro Regioni (Campania, Liguria, Molise, Veneto) hanno già identificato i componenti delle Commissioni regionali AIDS; a queste auspicabilmente se ne aggiorneranno a breve altre.
 
“Abbiamo a disposizione – prosegue il professor Cauda - farmaci sempre più efficaci, gravati di scarsi effetti collaterali e con ridotto rischio di farmaco-resistenza (che erano i problemi dei primi anti-retrovirali). Fatto non trascurabile, le terapie attualmente a disposizione sono sempre più patient-friendly. Ormai il trattamento si effettua con poche o addirittura con una sola compressa al giorno che tuttavia – è il caso di sottolinearlo – andranno assunte per tutta la vita.  Un’ulteriore importante innovazione, che si renderà disponibile in tempi brevi,è rappresentata dai device ad impiantosottocutaneo che consentono un rilascio prolungato del farmaco”.
E la grande speranza per il futuro infine è quella di approdare ad una ‘cura funzionale’ che non si può propriamente chiamare ‘eradicazione’ ma che si avvicina molto a questo concetto.
 
Questo convegno, organizzato dalla Fondazione Malattie Infettive e Salute Internazionale (MISI), che ha ricevuto il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità e di diverse Società scientifiche (SIMIT, SIHTA), apre dunque una finestra sul futuro, ma si occupa anche di problemi di scottante attualità, come quello dell’equivalenza terapeutica e della sostenibilità.
“Temiamo – afferma Giampiero Carosi, Professore Emerito di Malattie Infettive, Università degli Studi di Brescia e Presidente della Fondazione MISI- che per l’HIV/AIDS possa verificarsi quello che è stato proposto per le terapie anti-HCV. Cioè che, avendo a disposizione due farmaci anti-HCV con un costo diverso e di efficacia simile, alcune Regioni hanno proposto di riservare nei bandi una quota di preferenza per il farmaco meno costoso. La SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) non è d’accordo con questo modo di procedere e sostiene la libertà prescrittiva dello specialista. Accanto ad evidenti problemi di budget che, dall’AIFA in giù, riguardano effettivamente tutti, esistono anche delle imprescindibili istanze di tipo medico-legale ed etico da considerare. Riteniamo che al medico vada salvaguardata la possibilità di poter personalizzare la terapia su ogni singolo paziente”.
 
“Per ‘libertà’ prescrittiva – specifica il professor Cauda, non intendiamo ‘licenza’. In questi anni abbiamo sempre posto l’accento sui prontuari farmaceutici regionali, sui percorsi assistenziali. Abbiamo disegnato il perimetro, ad esempio di cosa fare nel soggetto naïve, anziché nella donna con prospettive di gravidanza, sempre seguendo le linee guida”.
 
“Prontuari e PDTA – incalza il professor Carosi – vengono redatti tenendo presenti anche le istanze economiche, che però non possono essere tassative. Il prontuario ha un mainstream, che prevede anche una serie di eccezioni (ad esempio nel caso dei soggetti ‘pluri-falliti’ o portatori di specifiche co-morbilità)”.
L’HIV rappresenta, rispetto ad altre patologie,un’isola felice, visto che la scelta terapeutica è davvero molto ampia. Oggi i pazienti hanno a disposizione opzioni terapeutiche inimmaginabili solo fino a qualche tempo fa; si sta andando verso trattamenti che prevedono una sola somministrazione iniettiva al mese o bimestrale, contro le manciate di pillole che il paziente doveva assumere tutti i giorni fino a qualche tempo fa. Il difficile equilibrio nel quale barcamenarsi è oggi tra l’innovazione terapeutica e quanto la società è in grado di sostenere.
 
“L’innovazione è sacrosanta  - commenta il professorCarosi – Non difendiamo a priori le aziende farmaceutiche, ma il principio: l’innovazione ha un costo e vanno dunque salvaguardati proprietà intellettuale e il giusto guadagno per un congruo periodo di copertura brevettuale, per farle rientrare dalle spese di ricerca e sviluppo dei farmaci”.
 
Il fondo per i farmaci innovativi potrebbe consentire di tenere la porta aperta all’innovazione. I criteri per l’inserimento prevedono un modello di valutazione dell’innovatività, che è unico per tutti i farmaci. Si tratta di un approccio multidimensionale, che tiene conto di bisogno terapeutico, valore terapeutico aggiunto e qualità delle prove a sostegno (robustezza degli studi clinici).
Nel caso dell’HIV questo si declina attraverso la ridefinizione del bisogno terapeutico per popolazioni speciali e in fase avanzata di malattia, dell’aumento del valore terapeutico con strategie innovative (ad es. long-acting) e l’adozione di nuovi outcome. In questo ambito sempre maggior importanza stanno acquisendo in un contesto di valutazione multidimensionale del farmaco i cosiddetti PROs (Patient Reported Outcomes), che vengono ormai richiesti dalle agenzie regolatorie negli studi randomizzati.
 
“Nel 2016 – ricorda il professor Carosi - AIFA ad esempio aveva conferito un giudizio di innovatività al Dolutegravir, farmaco della classe degli inibitori dell’integrasi, ma dopo due anni lo ha ‘riclassificato’. Ad oggi nessuno dei farmaci anti-HIV è incluso nel fondo speciale dei farmaci innovativi. Cosa succederà con i nuovi attesi farmaci in arrivo?
Il problema di questa scarsa attenzione alle terapie anti-HIV – conclude il Prof. Carosi–  viene da lontano, dal calo di attenzione generale che riguarda il mondo dell’AIDS/HIV. Ormai se ne parla solo in occasione della Giornata Mondiale, il 1 dicembre. Noi vorremmo però che non fosse così. Ogni anno - e purtroppo da anni - si registrano in Italia circa 3.500 nuove diagnosi di questa infezione, quasi 10 al giorno. Sono decine di migliaia le persone ‘cronicizzate’, in trattamento presso i nostri centri (circa 80.000) e questo è interesse di tutta la società perché è un treatment to prevent. C’è poi il problema del ‘sommerso’ che viene stimato intorno a un ulteriore 30%di persone con infezione non riconosciuta. Anche per questo è fondamentale la collaborazione non solo con le società scientifiche – era presente al convegno il presidente della SIMIT, Prof. Massimo Galli – ma anche con le associazioni pazienti, come le quattro che hanno dato l’endorsement a questo convegno (Agedo, Lega italiana per la lotta contro l’AIDS, NPS, Plus) e che sono state sempre presenti al nostro fianco. Se c’è una cosa che ha insegnato l’HIV è proprio l’importanza di mettersi tutti insieme per stabilire una reale efficace alleanza terapeutica”.
 
Maria Rita Montebelli

27 settembre 2019
© Riproduzione riservata

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