Alzheimer. La cura potrebbe arrivare da speciali anticorpi
Inibiscono l’azione della proteina Dkk1 che attivata dalle beta-amiloidi innesca il processo di distruzione delle sinapsi che è alla base della malattia neurodegenerativa. Aver identificato questi anticorpi, secondo gli esperti, potrebbe portare allo sviluppo di nuove possibilità terapeutiche.
11 MAR - Nuove speranze per la cura dell’Alzheimer arrivano dallo University College London: in uno studio pubblicato sul
Journal of Neuroscience alcuni ricercatori del dipartimento di biologia cellulare e dello sviluppo dimostrano di aver identificato degli anticorpi capaci di bloccare il processo di distruzione delle sinapsi che porta ai sintomi della malattia neurodegenerativa. La scoperta potrebbe presto trasformarsi in un trattamento contro il declino cognitivo provocato dalla patologia.
Si tratta di molecole capaci di fermare la proteina Dkk1, sopprimendo completamente l’effetto tossico delle proteine beta-amiloidi sulle sinapsi. Dkk1 è infatti stata rilevata in grandi quantità nelle biopsie cerebrali di pazienti affetti da Alzheimer, ma finora il suo ruolo era stato sottovalutato. Gli scienziati dell’UCL hanno invece osservato come siano proprio le beta-amiloidi a provocare la produzione di queste molecole, che aiutano la malattia a smantellare le sinapsi nell’ippocampo, la regione del cervello che regola funzione come apprendimento e memoria.
Nel lavoro appena pubblicato, i ricercatori inglesi hanno condotto esperimenti proprio per svelare le fasi della distruzione delle strutture che permettono ai neuroni di comunicare a seguito dell’esposizione alle proteine beta-amiloidi. Sezionando il cervello di alcune cavie murine, sono stati in grado di monitorare come alcune sinapsi riuscivano a sopravvivere alla distruzione proprio per la presenza di anticorpi a Dkk1, mentre le altre venivano inesorabilmente distrutte dalla malattia.
Gli scienziati hanno allora osservato cosa succedeva nel cervello dei topi se i valori di questi anticorpi venivano aumentati artificialmente. È stato proprio così che hanno fatto la scoperta: i neuroni esposti a queste molecole rimanevano in salute e i collegamenti tra di essi intatti. “Nonostante i grandi passi in avanti che sono stati fatti nella comprensione della biologia di questa malattia il mondo accademico non è mai stato in grado di sviluppare dei farmaci capaci di controllare la patologia”, ha spiegato
Patricia Salinas, ricercatrice che ha coordinato lo studio. “Con questa ricerca, invece, abbiamo trovato nella proteina Dkk1 un potenziale bersaglio terapeutico”.
Secondo gli esperti, infatti, aver capito cosa succede nel cervello quando le beta-amiloidi entrano in azione, è il primo passo verso lo sviluppo di trattamenti efficaci. “Studi come questi sono essenziali per questo processo, ma ora serve che questi risultati siano portati dal laboratorio alla pratica clinica”, ha commentato
Simon Ridley di Alzheimer’s Research UK, la più importante associazione di beneficienza che in Gran Bretagna si occupa della malattia neurodegenerativa. “La demenza e il deficit cognitivo causati dalla malattia possono essere combattuti solo grazie alla ricerca. Che va dunque sostenuta anche economicamente, per aiutare il grandissimo numero di pazienti che ogni anno lottano contro la patologia”.
Laura Berardi
11 marzo 2012
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