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Tumore del seno. Test Oncotype DX rimborsabile in Lombardia, ma serve omogeneità nazionale


Con 53.500 nuove diagnosi di tumore della mammella nel 2019 e una terapia sempre più personalizzata, serve omogeneità nei trattamenti e l’estensione su territorio nazionale alla rimborsabilità del test Oncotype DX

14 NOV - Quella della mammella è tra le 5 patologie neoplastiche più frequenti in Italia. Secondo i recenti dati Aiom-Airtum riportati su “I numeri del cancro in Italia 2019”, si registrano 53.500 casi, in aumento rispetto all’anno precedente. In aumento però anche la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi e questo grazie a terapie sempre più appropriate e alla sempre maggiore adesione ai programmi di screening.
 
I criteri normalmente seguiti nella pratica clinica per decidere il trattamento del tumore della mammella si basano su fattori come età, profilo della paziente e grandezza del tumore. Pur essendo la chemioterapia prescritta in una percentuale relativamente alta di donne con carcinoma della mammella in stadio iniziale, la ricerca mostra che solo una minoranza di pazienti con cancro al seno in stadio precoce può trarne effettivo giovamento. Dunque, riuscire a individuare qual è questo gruppo di pazienti è estremamente importante. È qui che interviene la genomica, che applicata ai tessuti tumorali, è in grado di caratterizzare meglio il tumore, prevedere le sue probabilità di crescita e la risposta alle terapie.
 
In Italia, però, i test genomici sono attualmente poco utilizzati rispetto ad altri paesi europei, soprattutto perché non sono ancora inseriti nei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) e non sono rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale. In particolare, per prevedere i probabili vantaggi della chemioterapia oggi è disponibile il test genomico Oncotype DX validato da diversi studi e inserito in tutte le linee guida nazionali e internazionali. Il test genomico Oncotype DX si è dimostrato conveniente anche da un punto di vista economico con un significativo risparmio ottenibile grazie al minor ricorso alla chemioterapia. Attualmente, “l’unico test capace di indicare l’eventuale efficacia della chemioterapia in aggiunta all’ormonoterapia nella fase adiuvante è il test Oncotype DX”, spiega Giuseppe Naso, Professore associato di oncologia responsabile clinico della Breast Unit Policlinico Umberto I, Sapienza di Roma.
 
Questo test è rimborsato nel Regno Unito, così come in Germania, Svizzera, Irlanda, Grecia e Spagna. In Francia il test è disponibile attraverso un meccanismo di fondi per la diagnostica innovativa. In Italia invece l’unica regione che garantisce la rimborsabilità del test Oncotype DX è la Lombardia. Con una delibera del primo settembre 2019, la Regione ha, infatti, inserito il test nel Nomenclatore Tariffario Regionale rendendolo così disponibile a tutte le pazienti idonee residenti nel territorio lombardo. Un procedimento analogo è anche in vigore nella Provincia di Bolzano mentre alcuni Ospedali, come ad esempio a Chieti e a Civitavecchia, forniscono gratuitamente alle loro pazienti il test Oncotype DX facendosi carico dei costi. Inoltre l’Agenas ha completato un’analisi dei dati della letteratura e pubblicato un report preliminare di HTA, rilevando che l’uso dei test genomici nelle pazienti con tumore alla mammella in stadio precoce, consente di identificare quelle che potrebbero evitare la chemioterapia e che il mancato rimborso genera un problema di accessibilità. La preparazione del report di HTA rappresenta un significativo passo per l’inserimento dei test genomici nei LEA e per ottenerne la rimborsabilità a livello Nazionale.
 
“In Italia si sta verificando una situazione un po’ discriminante perché le pazienti che possono permettersi il test se lo pagano ma molte pazienti non possono accedere al test in quanto la loro condizione economica non consente loro l’accesso”, puntualizza Naso. “L’auspicio dunque è che questo test possa essere accessibile su tutto il territorio nazionale” per molteplici ragioni. In primo luogo, infatti, dobbiamo pensare che “circa il 70-75% delle pazienti potrebbe evitare una chemioterapia assolutamente inutile, anzi a volte anche dannosa”, spiega l’oncologo. In secondo luogo, poi, l’estensione della rimborsabilità del test Oncotype DX consentirebbe una “omogeneizzazione del dato: ci sarebbe poca discrezionalità tra i vari centri e tra gli oncologi perché basandosi sul test si avrebbe una risposta quanto più oggettiva possibile con un minimo di discrezionalità riservata chiaramente all’oncologo”, prosegue Naso.
 
In ultimo poi si genererebbero benefici anche in termini di costi: “se consideriamo che il 70-75% delle pazienti potrebbe evitare la chemioterapia e mediamente la chemioterapia si aggira intorno ai 6-7mila euro, ovviamente ci sarebbe un enorme risparmio da parte delle aziende ospedaliere nell’erogare questo test”, conclude l’esperto.

Come funziona il test
Il test Oncotype DX non è invasivo ed è eseguito su un campione di tessuto prelevato durante l’intervento chirurgico, quindi non necessita di procedure addizionali. Una volta eseguito il test, il medico riceve il risultato Recurrence Score, un numero tra 0 e 100, specifico per ciascuna paziente. Un risultato compreso tra 0 e 25 indica che il tumore ha meno probabilità di tornare se la paziente è trattata con la sola ormonoterapia e che la chemioterapia non cambierebbe le probabilità di una futura recidiva. Un risultato Recurrence Score compreso tra 26 e 100 indica un rischio maggiore di recidiva e che la chemioterapia in aggiunta all’ormonoterapia può fornire un beneficio sostanziale in termini di riduzione di tale rischio. Inoltre, nelle pazienti di età inferiore ai 50 anni, gli studi indicano che coloro che hanno un risultato di Recurrence Score compreso tra 16 e 20, e ancor più tra 21 e 25, possono invece trarre alcuni benefici dalla chemioterapia.

14 novembre 2019
© Riproduzione riservata

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