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Autismo e schizofrenia. Un possibile aiuto dalla riduzione delle difficoltà empatiche e dalla condivisione delle emozioni


Un recente studio condotto dal Dipartimento di Psicologia della Sapienza, in collaborazione con la Fondazione Santa Lucia Irccs, ha ideato un nuovo metodo per rafforzare l’imitazione automatica delle emozioni. I risultati, pubblicati sulla rivista Cortex, potrebbero essere utili nell’intervento con persone autistiche o con diagnosi di schizofrenia

09 DIC - Già alla nascita, umani e primati mostrano la tendenza innata a imitare le espressioni facciali altrui. La “facial mimicry”, ossia l’imitazione automatica delle emozioni facciali di un altro individuo, è un meccanismo alla base del riconoscimento delle emozioni e del contagio emotivo, forme basilari di empatia che precedono quelle più complesse. Tale abilità è modulata da fattori sociali di alto livello quali appartenenza al gruppo, familiarità, cooperazione o competizione. Essa inoltre è associata a cambiamenti fisiologici e neurali prodotti dall’effettiva esperienza emozionale dell’osservatore e modulata dai tratti empatici dello stesso. Questa risposta risulta ridotta e/o rallentata nell’autismo e nella schizofrenia, condizioni caratterizzate tra l’altro da difficoltà empatiche e di riconoscimento delle emozioni altrui.
 
Il gruppo di ricerca coordinato da Salvatore Maria Aglioti della Sapienza, in collaborazione con Fondazione Santa Lucia Irccs, ha testato la possibilità di aumentare l’imitazione automatica delle emozioni facciali attraverso l’enfacement, una semplice ma efficace illusione corporea che viene indotta dalla stimolazione tattile del volto del partecipante mentre osserva la medesima stimolazione effettuata sul volto di un’altra persona. Questo procedimento riduce la distinzione tra sé e l’altro; infatti diversi studi hanno dimostrato che, in seguito a tale stimolazione visuo-tattile, i partecipanti tendono a percepire l’altro più simile a sé su diversi livelli, dall’identità visiva ai comportamenti sociali.

Nello studio i ricercatori hanno utilizzato il metodo dell’enfacement, toccando la faccia dei partecipanti contemporaneamente alla faccia di un attore che in un secondo momento mostrava specifiche emozioni, mentre venivano registrate le risposte neurofisiologiche facciali dei partecipanti. I risultati, pubblicati sulla rivista Cortex, mostrano per la prima volta che l’illusione dell’enfacement aumenta significativamente l’imitazione automatica delle emozioni altrui.
 
Molti ricercatori hanno indagato il ruolo della percezione di sé nello sviluppo della psicopatologia. Ad esempio lo studio dei prodromi della schizofrenia ha riconosciuto i disturbi del sé come una componente fondamentale di questa patologia. I disturbi del sé sono anomalie soggettive dell’esperienza che precedono la fase conclamata della malattia e che includono, ad esempio, la scarsa distinzione tra sé-altro. I disturbi del sé risultano fortemente correlati al senso di consapevolezza corporea e alla costruzione di un senso di identità coerente in condizioni sociali.
 
“Abbiamo testato la possibilità – spiega Aglioti – di aumentare l’imitazione automatica delle espressioni facciali emotive attraverso la stimolazione visuo-tattile interpersonale del volto, come futura e promettente rotta per aumentare il contagio emotivo e migliorare la comprensione delle emozioni altrui. Crediamo che i nostri risultati possano essere la base per l’ideazione di interventi clinici innovativi volti a ridurre le difficoltà empatiche e di riconoscimento delle emozioni in condizioni del neurosviluppo come l’autismo e la schizofrenia”.
 
La somatosensazione è un elemento cruciale per la discriminazione sé-altro, e come confermano gli studi del gruppo di Aglioti, tale confine può essere alterato in contesti di stimolazione visuo-tattile interpersonale.

09 dicembre 2019
© Riproduzione riservata

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