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Coronavirus. La lezione della “paura”

di Ivan Cavicchi

Il virus paradossalmente sembra svolgere malgrado tutto una funzione di riforma del nostro sistema sanitario, nel senso che attraverso la paura della gente, il nostro sistema sanitario recupera rispetto dignità considerazione, ma allora perché non facciamo, che ne so, una riforma- virus per mettere paura alla paura e insegnare alla libertà la libertà al rispetto?

27 FEB - Fin da quando siamo stati informati dell’epidemia di coronavirus, mi sono imposto di non intervenire, prima di tutto per non intasare la questione, alimentando per esempio, anche su questo giornale, un expertise inesistente (è impressionante come un virus nel momento in cui si riproduce abbia la capacità di riprodurre quasi per autopoiesi, così tanti esperti di ogni tipo) e poi perché non ho particolari lamentele da avanzare su come il governo e le regioni hanno governato la faccenda.
 
Non vi nascondo, però che pensando tra me e me ad altri ministri della sanità mi sono molto rallegrato di quello che oggi passa il convento. Poteva andare molto ma molto peggio.
 
Invisibile e visibile
Chi ha visto il film di John Carpenter “Avventure di un uomo invisibile” sa che combattere un nemico invisibile è molto difficile e che l’unico modo è di renderlo in qualche modo visibile e quindi circondarlo. E’ quello che mi pare stiano facendo pur tra mille difficoltà, il governo e le regioni.
 
Difronte  a una cosa tanto difficile, quello che intendo fare è semplicemente quello che faccio sempre e cioè pensare alle cose che accadano sapendo come ci ha spiegato un grande filosofo francese (Merleau Ponty), che quello che accade, aggiungo io anche in medicina davanti ad una qualsiasi  malattia,  si colloca sempre  tra  visibile e invisibile perché  ciò che si vede e ciò che non si vede fa parte della stessa realtà, al punto, come sa bene il ministro Speranza, che  il virus, il bastardo, ma anche ciò che causa qualsiasi malattia  non è mai davanti a noi bensì è dietro di noi è intorno a noi è dentro di noi  è nella realtà nella quale ci muoviamo e di cui fa parte.
 
Questo difficile rapporto tra visibile e invisibile mi ha fatto venire in mente l’interpretazione che Severino ha dato della filosofia.
 
Essa non vuol dire semplicemente “amore per il sapere” ma è due cose:
- prendersi cura di ciò che è chiaro, visibile,  in luce,
- condurre alla luce ciò che non si vede e di cui ci si prende cura
 
Pensare il coronavirus per me significa fare come diceva Severino da tramite tra visibile e invisibile.
 
L’art. 32 della Costituzione
Il corona virus ci ha fatto regredire di botto alla nascita dell’articolo 32 nel 1947, cioè quando non c’era il ministero della salute e i problemi, come quelli del corona virus, erano di competenza del ministero degli interni. Ci ha fatto anche capire da dove nasce il concetto di salute come interesse collettivo.
 
A quel tempo, esattamente come ora, l’interesse collettivo era tutelare cioè difendere e proteggere la collettività quanto più possibile dal contagio delle malattie infettive. Allora la salute era solo assenza di malattia e le malattie che preoccupavano erano quelle infettive e l’idea di tutela era solo un’idea di difesa quindi protezionistica.
 
In sostanza il corona virus esattamente come 73 anni, oggi in assenza di soluzioni cliniche, pone soprattutto una questione di ordine pubblico. Oggi l’emergenza vera è l’ordine pubblico e la crisi economica.
 
Il ruolo della protezione civile
Quando ad una malattia contagiosa non corrisponde una soluzione clinica le evidenze scientifiche al massimo ci dicono di lavarci le mani e di usare la mascherina, cioè di evitare il contagio.
 
In mancanza della tutela della clinica per forza ci serve un’altra tutela e che è quella della protezione civile. L’atto di protezione civile non è un atto clinico ma è un atto principalmente di coordinamento di evidenze scientifiche, evidenze empiriche, di buon senso, di considerazioni di ordine politico, quindi di servizi di azioni necessarie, di istituzioni, enti, corpi che intervengono a livello sia locale che nazionale, al fine di garantire l'incolumità delle persone, dei beni e dell'ambiente ma soprattutto la difesa delle comunità. 
 
Ho sentito alla TV contestare la decisione del ministro Speranza di bloccare i voli per la Cina invocando le evidenze scientifiche, ma non esiste nessuna evidenza scientifica che dice di bloccare o meno i voli per la Cina esiste solo quella che ci dice che il virus qualsiasi giro faccia è contagioso.
 
La decisione di bloccare i voli non c’entra niente con le evidenze scientifiche è una decisione politica presa ragionando sul contesto, sui rischi potenziali, e sulla base di sensibilità politiche precise.
 
I paesi che non hanno bloccato i voli non hanno deciso sulla base di evidenze scientifiche ma solo sulla base di una cognizione essenzialmente politica. La scienza senza la politica può addirittura fare danni e la politica anche con la scienza si deve prendere solo delle responsabilità. Personalmente mi sento più tranquillo quando la politica si prende delle responsabilità.
 
Uno spot
“Aiutiamoci l’un con l’altro. Insieme ce la facciamo”. È lo slogan del video realizzato dalla rai per il ministero della salute in collaborazione con la presidenza del consiglio per sensibilizzare tutti sulle buone pratiche quotidiane che aiutano a contenere il rischio contagio da coronavirus Covid-19.
 
Il senso dello spot è  intuitivamente sensato e condivisibile, il messaggio, in una situazione di emergenza grave, punta, come è giusto che sia, sul valore della solidarietà e dietro di esso  si può intravedere un’idea  contro l’intolleranza, contro il pregiudizio, contro l’esclusione. Ok. Siamo nella stessa barca quindi remiamo insieme.
 
Ma nello stesso tempo è innegabile che questo spot tradisca una contraddizione: da una parte per ragioni di difesa contro il contagio sono giorni che diciamo alle persone di guardarsi dalle persone, di evitare loro di stringere la mano, di non stare troppo vicini, di parlare a distanza, sono giorni che isoliamo, separiamo, mettiamo in quarantena, ma non solo, sono giorni che ogni idea  di riunione, di assembramento, di adunanza, cioè ogni idea di “insieme” intendo il concetto  come Cantor lo intendeva in matematica (raggruppamento di elementi di qualsiasi tipo) è visto come pericoloso e quindi è stato bandito.
 
Santo Iddio, mentre il discorso della comunicazione e dell’informazione ormai è diventato una ossessione, mentre tutti chiedono ai media di astenersi dall’usare toni drammatici, possibile mai che non si è trovato uno spot meno ambiguo e meno contraddittorio.
 
Che ne so: “aiutateci, abbiate pazienza, collaborate con noi e ce la faremo” oppure “presto ne saremo fuori ma solo se tutti ci darete una mano e se ognuno di voi farà quello che in questa situazione deve fare”.
 
Oppure ancora “oggi qualcuno di noi può essere un pericolo per l’altro è il momento di aiutarci rispettando le istruzioni per prevenire il contagio e nello stesso tempo ricordandoci che siamo nella stessa barca”
 
Le mie ovviamente solo esemplificazioni. Temo e mi dispiace che questo spot non abbia quell’efficacia che la situazione meriterebbe.  
 
La libertà e la paura
Il coronavirus insieme, alla crisi economica, al terrorismo, ai terremoti, al cancro, alla povertà, mette paura alla gente e la paura, come ci insegna la storia a proposito di regimi totalitari, uccide la libertà.
 
Questa paura come abbiamo visto dalle file supermercati, dalle persone che portano inutilmente le mascherine, dalle città affogate in uno smog di disinfettanti, dalla sospensione dei collegamenti, non è solo in grado di condizionare le nostre esistenze ma arriva a condizionare le attività di interi paesi e a bloccare intere economie.
 
La paura sul piano individuale spinge a minimizzare i rischi, a non viaggiare, a non uscire, di casa, in breve, spinge il cittadino a non fidarsi della normalità e ad accettare sempre più di vivere in un regime di precauzioni, di controlli, di limitazioni pur di sentirsi “al sicuro”.
 
Quando non c’è una epidemia, nella normalità, le nostre vite sono talmente protette che i pericoli ai quali pensiamo, alla fine sono soltanto potenziali, ma in una epidemia questi pericoli diventano reali.
 
La paura normalmente, come ha detto qualcuno, è un sottoprodotto del benessere e ha un potere tale che può addirittura “affascinare”, ma quando c’è una epidemia la paura che limita fortemente la libertà perde qualsiasi fascino. La “paura fa paura” e parafrasando Pascal l’unico modo è di pensare alla paura senza pensarci. Ma questo vale nella normalità quando c’è una epidemia ci si pensa eccome.
 
Viva la libertà
Con la paura del virus cadono le violenze contro gli operatori, i medici tornano ad essere dei santi, e i sistemi sanitari pubblici sono elogiati come risorse irrinunciabili, il privato sparisce con i suoi micragnosi fondi sanitari e il servizio pubblico torna al centro delle attenzioni della politica anche se è sottoposto ad uno sforzo pazzesco, le regioni accettano la guida dello Stato e a parte la solita polemica di pragmatica, il regionalismo differenziato perde di significato. I pronti soccorsi rinascono e ogni malato viene rispettato come persona.
 
Ma se è vero che la paura del virus uccide la libertà allora è vero che la salute fa rivivere la libertà peccato che con la libertà ritornano le violenze contro gli operatori, i medici tornano ad essere considerati delle nullità, i sistemi pubblici stentano ad andare avanti, il privato si fa di nuovo sotto e le regioni tornano a rompere le scatole per avere più potere, i pronti soccorsi tornano nel caos e i malati sono trattati di nuovo a pesci in faccia.
 
Mi chiedo se tra la paura e la libertà non si possa trovare un accordo, una mediazione. In fin dei conti dietro ad ogni malattia importante, a partire dall’influenza molto più letale del corona virus, si nasconde lo stesso conflitto.
 
Mi si consenta di fare una domanda delle mie: il virus paradossalmente sembra svolgere malgrado tutto una funzione di riforma del nostro sistema sanitario, nel senso che attraverso la paura della gente, il nostro sistema recupera rispetto dignità considerazione, ma allora perché non facciamo, che ne so, una riforma- virus per mettere paura alla paura e insegnare alla libertà la libertà al rispetto?
 
Conclusione
Per chiudere questo articolo sui rapporti tra visibile e invisibile, niente vale di più di un bel paradosso: mentre molti medici sono stati contagiati dal virus, un medico di base di un paese della provincia di Latina ha deciso di chiudere il proprio ambulatorio inviando ai suoi malati il seguente sms: ”Lo studio resterà chiuso per il propagarsi dell’infezione dovuta a coronavirus”. Credo che non siano necessaricommenti.
 
Ivan Cavicchi

27 febbraio 2020
© Riproduzione riservata

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