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Covid. Aumentano i parti in casa. Ma i neonatolgi avvertono: “Si corrono maggior rischi”


Il lockdown e la paura di contrarre l’infezione sono forse i fattori che hanno indotto le donne a non correre in ospedale. Ma la Società Italiana di Neonatologia ricorda che i punti nascita sono sicuri e rimarca che se durante il parto in casa si rendesse necessario un trasferimento in ospedale, in molte realtà italiane potrebbero esseci ritardi a causa di una minore disponibilità di ambulanze.

04 GIU - Se in tempo di coronavirus alcune visite e prestazioni sono state rimandate, ce ne sono altre che non possono proprio essere lasciate in sospeso. Il parto, è uno di questi. Scaduti i 9 mesi, il bimbo deve nascere, anche se ci si trova in piena emergenza pandemica. Ma il lockdown e la paura di contrarre l’infezione da coronavirus hanno comunque avuto delle conseguenze sulle nascite. Anche se i dati ufficiali non sono ancora disponibili, la Società Italiana di Neonatologia (SIN) fa sapere che è cresciuto il numero di donne che ha partorito o chiesto di partorire in casa. Ma mette in guardia: il parto in casa è meno sicuro. Anche in tempi di coronavirus. Perché “i nostri punti nascita sono più che mai protetti, con personale dedicato e percorsi separati per accettazione ostetrica, sale parto, puerperio e nido”, sottolinea il Prof. Fabio Mosca, Presidente della Società Italiana di Neonatologia (SIN) in occasione della Giornata Internazionale del Parto in casa, che ricade il 6 giugno

Al contrario, spiega la Sin, un parto in ambiente extraospedaliero o a domicilio (che in Italia si stima essere intorno allo 0.05-0.1%) può al contrario rivelarsi “potenzialmente pericoloso, se non si adottano misure organizzative e criteri clinici di selezione delle gravide appropriati. I dati della letteratura relativi al parto in casa pianificato negli USA - spiega la Sin -, ad esempio, riportano l’associazione con un significativo aumentato rischio di morte e di morbilità neonatale. Il tasso di mortalità nel parto a domicilio rispetto al parto in ospedale è di 1.26 vs 0.32/1000 nati, mentre la probabilità di un indice di Apgar uguale a zero a 5 minuti è di 1.63 vs 0.09/1000 nati. In caso di complicazioni improvvise e non prevedibili per madre o figlio, l’assistenza che si può fornire a casa è ovviamente di qualità inferiore rispetto a quella che è possibile dare in un punto nascita. A conferma di ciò, una ricerca inglese dimostra come più del 10% di tutti i parti pianificati a casa vengono poi espletati in ospedale per sopraggiunte complicanze materno-fetali e che per le primigravide ciò avviene fino al 45% dei casi”.

“Nel caso dovesse essere necessario un trasferimento in ospedale, in molte realtà italiane questo potrebbe non avvenire nei giusti tempi, soprattutto in un periodo di emergenza come quello che stiamo attraversando, poiché potrebbe essere aggravato anche da una minore disponibilità di ambulanze” continua Mosca.

Ci sono diversi motivi che spingono alla scelta del parto in casa. Tra questi una visione più olistica della gravidanza, un desiderio di avere maggiore padronanza del proprio corpo senza il condizionamento di interferenze mediche, la volontà di decidere autonomamente di partorire in un ambiente più intimo e confortevole, ragioni culturali o religiose e adesso il timore del contagio.

Per la SIN, che comprende queste ragioni, la strada più corretta è sicuramente quella di demedicalizzare l’evento nascita nei nostri ospedali, favorendo setting organizzativi e strutturali attenti alla fisiologia e pronti ad intervenire in caso di urgenza, anche implementando le recenti “Linee di indirizzo per la definizione e l’organizzazione dell’assistenza in autonomia da parte delle ostetriche alle gravidanze a basso rischio (BRO)”.

La cura del neonato deve essere comunque affidata esclusivamente al pediatra/neonatologo, il quale dovrà coordinare i professionisti sanitari formati per l’assistenza al neonato, al fine di tutelarne la salute.

Nei primi giorni di vita, proprio per evitare che possano sfuggire problematiche inizialmente poco evidenti, il neonato viene sottoposto ad una serie di screening e di valutazioni cliniche (screening metabolico allargato, lo screening per le cardiopatie congenite, lo screening audiologico, il test del riflesso rosso, la valutazione ed il monitoraggio dell’iperbilirubinemia e ipoglicemia, calo ponderale, ecc.) che proseguono durante la degenza e che permettono di dimetterlo in sicurezza, in un percorso organizzativo fondato sull’umanizzazione delle cure che presta particolare attenzione alla promozione dell’allattamento al seno, a favorire il legame mamma-neonato, al rooming-in. Molte di queste attività appaiono molto difficili, se non impossibili, da attuare a domicilio. Inoltre, avverte la Sin, “nell’attuale contesto organizzativo italiano del percorso nascita i requisiti di sicurezza determinanti, derivati dall’analisi della letteratura scientifica internazionale, sono raramente presenti e rendono quindi il parto in casa una pratica potenzialmente più rischiosa del parto in ospedale”.

Secondo la maggior parte delle linee guida internazionali, spiega la Sin, i criteri di selezione per le candidate al parto in casa includono: l’assenza di malattie materne preesistenti, l’assenza di malattie significative nel corso della gravidanza, età materna non > di 35 anni, feto singolo, presentazione cefalica e assenza di distocie fetali ed età gestazionale compresa tra 37 e 41 settimane in donna pluripara. La presentazione anomala, la gestazione multipla o un precedente parto mediante taglio cesareo sono considerate controindicazioni assolute al parto in casa, così come stabilito da “The American College of Obstetricians and Gynecologists Committee on Obstetric Practice.”

A queste indicazioni si aggiungono le linee guida recentemente aggiornate dell'American Academy of Pediatrics (AAP), che raccomandano a coloro che programmano un parto in casa di considerare alcuni criteri: una gravidanza a basso rischio; disponibilità di personale certificato in assistenza alla nascita, di cui almeno uno con un'adeguata formazione e le attrezzature necessarie alla rianimazione del bambino; disponibilità di una rete prestabilita di soccorso urgente in caso di trasferimento in ospedale; garanzia che l'assistenza ai bambini nati a casa sia coerente con quella prevista per i bambini nati in una struttura medica (Pediatrics 2020. Doi: 10.1542/peds.2020-0626).

“In conclusione - spiega la Sin - per garantire che il parto a domicilio non determini rischi inutili ed inaccettabili per mamma e neonato, è necessario che vengano rispettati alcuni fondamentali requisiti di sicurezza. Occorre la corretta identificazione dei fattori di rischio assoluto, per i quali è ben dimostrato un aumento della mortalità, e che controindicano il parto a casa. Il parto a domicilio deve essere parte di un sistema di assistenza alla gravidanza e al parto ben integrato con le strutture ospedaliere, come avviene ad esempio nel Regno Unito e in Olanda. In questi paesi le ostetriche sono integrate nei servizi di maternità, hanno elevate skills, anche in termini di numero di parti assistiti e devono garantire un training e standard professionali certificati”.

Infine “il parto a domicilio deve inserirsi in un network ben organizzato ed integrato con i centri ospedalieri che, come nel Regno Unito, prevedono che in caso di parto a domicilio l’ospedale limitrofo venga pre-allertato e che ci sia un canale preferenziale e diretto di comunicazione.  Deve, infine, essere previsto un sistema di trasporto di emergenza materno (STAM) e neonatale (STEN) efficiente e il domicilio dove avviene il parto non deve essere lontano dall’ospedale”.

04 giugno 2020
© Riproduzione riservata

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