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Tumore del polmone. Scoperte le mutazioni che causano resistenza all’immunoterapia


Aumenta così l’importanza dei test genomici per conoscere le alterazioni molecolari di ogni neoplasia e definire percorsi terapeutici personalizzati. Lo rivela un recente studio dell’Irccs Istituto Nazionale Tumori Regina Elena con la collaborazione del Polo Oncologico Sapienza, pubblicato su Annals of Oncology

08 SET - Negli ultimi anni l’immunoterapia ha rivoluzionato il trattamento dei tumori, raggiungendo sorprendenti risultati clinici, anche nelle neoplasie polmonari. La buona notizia è che una discreta percentuale di pazienti con tumori del polmone, che in precedenza avevano una prognosi infausta, rispondono all’immunoterapia con inibitori di PD-1/PD-L1 e diventano lungo sopravviventi. Purtroppo però questo non accade in tutti i casi perché una parte non trascurabile di pazienti non beneficia del trattamento.
 
Un recente studio del team guidato da Marcello Maugeri-Saccà, oncologo presso la Divisione di Oncologia Medica 2 dell’Irccs Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, pubblicato su Annals of Oncology (rivista ufficiale dell’European Society for Medical Oncology, ESMO), rivela che un sottogruppo di pazienti con adenocarcinomi polmonari che presentano mutazioni contemporanee nei geni KEAP1, PBRM1, SMARCA4 e STK11, è particolarmente svantaggiato perché ha un basso indice di sopravvivenza ed è resistente alla immunoterapia. Si tratta del 10% di tutti i soggetti con adenocarcinoma polmonare, un numero importante se si considera che in Italia le nuove diagnosi all’anno sono circa 42 mila. L’identificazione a priori dei pazienti cosiddetti non-rispondenti può permettere da un lato di evitare di sottoporli inutilmente ad una terapia per loro inefficace e con effetti collaterali talvolta pericolosi, dall’altro di studiare i meccanismi di resistenza.
 
La chiave di volta per l’individuazione di pazienti con tumore del polmone non rispondenti a immunoterapia è nell’assetto di alterazioni molecolari presenti in tumori particolarmente aggressivi: scoprire quali esse siano è la grande sfida del momento.
È in tale direzione che va il lavoro dell’equipe multidisciplinare coordinata da Maugeri-Saccà dell’Istituto Regina Elena con la collaborazione del Polo Oncologico Sapienza. Lo studio esplora da un lato le risposte cliniche di centinaia di pazienti trattati, sia in Italia che in altre parti del mondo, con immunoterapia anti-PD-1 o anti-PD-L1, dall’altro dati genomici e immunologici di caratterizzazione dei loro tumori.
 
“Perché questi tumori siano immunologicamente “freddi” e non rispondano all’immunoterapia nonostante mostrino un livello mutazionale alto - dichiara Marcello Maugeri-Saccà, - è sorprendente. Questo ci deve far riflettere su quanto dobbiamo ancora capire e studiare. Siamo tuttavia fiduciosi nell’aiuto delle tecnologie genomiche e nella capacità crescente di integrarli con i dati clinici”.
“Con questa nuova scoperta sarà possibile con un rapido test molecolare diagnosticare questi casi in anticipo ed evitare a questi pazienti terapie per loro inutili - dichiara Gennaro Ciliberto, Direttore Scientifico dell’Istituto Regina Elena – oltre a comportare un effettivo risparmio per il sistema sanitario nazionale. Tuttavia lo sviluppo di un test diagnostico predittivo richiede ulteriore lavoro di validazione ed altri investimenti”.
 
“I risultati di quest’ ultima collaborazione con l’Istituto Regina Elena - dichiara Paolo Marchetti, Professore Ordinario di Oncologia dell’Università Sapienza di Roma - ci permettono di aggiungere un ulteriore tassello verso la comprensione dei tumori polmonari, della loro eterogeneità e di affinare le nostre armi terapeutiche per identificare e combatterne le forme più aggressive”.

08 settembre 2020
© Riproduzione riservata

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